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Mercoledì, 10 Settembre 2014 22:16

Dal quarto d’ora di notorietà all’effimero del «selfie»

«Selfie. Un monumento per tutti» è l’accattivante titolo della lezione magistrale che Vanni Codeluppi, docente di Sociologia dei processi culturali allo Iulm di Milano - terrà venerdì alle 18, in piazza Garibaldi a Sassuolo, per gli appuntamenti di Festivalfilosofia.

Prof. Codeluppi, nella nostra società «vetrinizzata», come si è trasformato il concetto di gloria?
Nella nostra epoca iperaccelerata la gloria è diventata qualcosa di effimero ed estremamente fragile. Vale a dire che è vittima di quella potente tendenza sociale verso la «vetrinizzazione» che lei ha richiamato. È indebolita cioè da quel bisogno continuo che oggi le persone sentono di mettersi «in scena» all’interno delle vetrine in cui sono costretti ad esporsi nella loro esistenza sociale e mediatica. Cercano di catturare l’attenzione degli altri e di valorizzarsi presentandosi al meglio, a volte anche modificando il pro- prio corpo per adeguarlo a quegli standard di rappresentazione sociale che vogliono raggiungere. Ma tutto finisce lì, perché non c’è tempo e occorre adeguare la propria identità ai cambiamenti della società. Dunque, la gloria dura poco tempo e non ha più quell’aura prestigiosa che aveva in passato.
Gloria istantanea ove, ad esempio, attraverso un selfie prontamente postato su Facebook, ciascuno crede di raggiungere il suo attimo di notorietà. Dà a pensare, in proposito, un recente studio secondo il quale, dietro questa pratica, si nasconderebbe una psicopatologia che consiste nello scatenarsi di un bisogno ossessivo compulsivo di scattare foto a se stessi. Cosa ne pensa al riguardo?
La gloria effettivamente è diventata democratica, ma anche effimera. La gloria per tutti non è più gloria. Il selfie rappresenta oggi un fondamentale strumento a disposizione degli individui per certificare la propria esistenza all’interno dei social media. Ma, evidentemente, a essere certificata dal selfie è soprattutto l’esistenza sociale delle persone. Non credo che ciò possa essere considerato una patologia del singolo individuo. Basta vedere come la pratica del selfie sia diventata una specie di moda di massa, che coinvolge anche i potenti della Terra, i quali si comportano esattamente come le persone comuni. Quando un fenomeno è così di massa, non rientra più nell’ambito delle malattie. Semmai, è l’intera società che dev’essere considerata malata. Malata di narcisismo.
Nell’era dell’ipermodernità caratterizzata dal potere della marca e dal divismo è pensabile che vi possa essere una inversione di rotta? E se non lo fosse, verso quale società ci stiamo dirigendo?
Non penso che lo scenario sociale che ha descritto possa subire delle modifiche. È difficoltoso riuscire a trovare la cura adeguata per un’intera società. Né mi pare che si possano scorgere all’orizzonte dei segnali di una possibile inversione di tendenza. I divi oggi sono diventati un fondamentale modello di riferimento per i comportamenti degli individui perché hanno dimostrato di saper stare sotto i riflettori. Hanno fatto cioè vedere come si può riuscire a stare al meglio all’interno della vetrina. Il risultato di tutto ciò è che stiamo andando verso una società sempre più individualistica. Una società dove, nonostante il gran parlare che si fa di socialità, amicizia e rete, il tessuto sociale tende progressivamente a sfaldarsi. Dove le persone non hanno più valori e progetti comuni, ma perseguono unicamente i loro obiettivi e i loro interessi personali.

Informazioni aggiuntive

  • autore: Francesca Nodari
  • giornale: Giornale di Brescia

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