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Mercoledì, 10 Settembre 2014 21:52

Marc Augé: se la gloria cede alla celebrità

Gloria, scrittura, morte». Verterà attorno a questi tre concetti la «lectio magistralis» che il famoso antropologo ed etnologo Marc Augé terrà nell’ambito della XIV edizione del Festivalfilosofia, che si apre venerdì a Modena, Carpi e Sassuolo. In questa intervista lo studioso anticipa i contenuti dell’appuntamento di cui sarà protagonista domenica alle 11,30 a Sassuolo.

Prof. Augé, perché la scelta di questo titolo e quale rapporto corre tra gloria letteraria e gloria politica?
V’è una comparazione nel titolo tra la gloria e gli altri due elementi stret-tamente connessi tra loro. La gloria, in ultima istanza, significa immortalità. La gloria è una cosa utopica: speranza di esistere attraverso gli altri: quando Victor Hugo morì, si calcola che oltre tre milioni di persone vollero rendere omaggio al suo feretro. La gloria letteraria ha sempre a che vedere con la letteratura nel senso che la gloria necessita di una scrittura, di mettere nero su bianco ciò che accaduto, che si è vissuto, sofferto, studiato, letto perché tutto questo non cada nell’oblio. Di qui, allora, anche il bisogno per certi politici di scrivere le loro memorie: sopravvivere a se stessi. Per lasciare un segno. Tangibile.
Oggi pare che la nozione di gloria sia divenuta obsoleta, o se si vuole, privata del suo senso profondo per essere destituita e rimpiazzata da quella di celebrità...
La società del consumo porta gli individui a inseguire la celebrità, che a sua volta, essendo effimera come è venuta scompare nel clic di un selfie. D’altro canto la celebrità è uno dei prodotti della planetarizzazione: oggi è difficile esistere lontano dallo sguardo degli altri. È difficile dire no all’apparire per guadagnarsi quell’attimo di gloria, la celebrità, che non è altro che mera illusione. Ma tra le due, per un verso la gloria, per l’altro la celebrità, v’è il ruolo fondamentale giocato dalla memoria. Il ricordo è più lungo dell’istante in cui si viene immortalati in quella determinata situazione. Ad esempio, conservo - come credo capiti a molti - un ricordo vivo del mio professore della classe secondaria: questi non è celebre, non è salito alle luci della ribalta, eppure mi ha lasciato in dono il suo ricordo. Si comprende, dunque, il ruolo determinante giocato dalla memoria nella costruzione dell’identità: il problema è che oggi siamo immersi in un mondo di istantaneità dove siamo sempre connessi, in una molteplicità di eccessi che mettono a rischio la nostra memoria. Cosa fare? A livello individuale è necessario vivere nel tempo cioè immaginare e insieme proteggere il passato.
Quale strategia consiglia per contrastare modalità comportamenta - li e stati emotivi quali l’iperindividualismo, la solitudine, l’emersione di nuove paure,la sfiducia,il venir meno del simbolico dato che, perunverso, il virtuale sembra prevalere sul reale, e per l’altro,il tempo coincide sempre più col mero istante che con l’avvenire?
Quello cui lei fa riferimento è un questione centrale del nostro presente. Alla base, come più volte ho sostenuto, v’è un problema di educazione. Specialmente i giovani devono capire che i mezzi di comunicazione sono mezzi e che è necessario non confondere le leggi e il fine. Occorre sottolineare il ruolo e insieme il valore del tempo sia nella vita privata, attraverso la memoria, sia a livello collettivo intensificando lo studio della storia non tanto per conoscere tutti gli eventi del passato, ma per capire che ci sono ragioni che ci hanno preceduto. Come è noto, nella memoria v’è una componente di invenzione: ciò che conta non è tanto sforzarsi di rimembrare ogni particolare - certe scene, certi momenti possono risultare sfumati -, bensì far emergere ciò che è stato attraverso l’esercizio attivo e prezioso del ricordare. E questo chiama in causa il tema della nostalgia che è di una duplice natura: per un verso, nostalgia del passato allorché si ritorna con la mente ai luoghi e ai tempi dell’infanzia e, per l’altro, nostalgia del passato al condizionale: mestizia e rimpianto per tutto quello che non abbiamo fatto e che avremmo voluto realizzare.
Di contro alla convinzione contemporanea: potere/denaro/successo uguale gloria,qualè, se esiste,il prototipo attuale dell’eroe?
L’eroismo significa che si fa qualcosa malgrado il fatto che non sappiamo se avremo ragione. Siamo condannati all’eroismo che implica fatica, sforzo, sacrificio, tenacia. In un certo senso siamo tutti eroi, con l’apparente paradosso che un tale eroismo del quotidiano non ha a che fare né significa gloria. Eroe è un uomo o una donna che fa qualcosa, ma che non sa cosa succederà. Per necessità non possiamo conoscere tutti gli eroi. Ecco perché è importante la relazione con la letteratura e con la scrittura, che è una strategia. Il patrimonio vero è quello della letteratura, mentre la chance che ci resta è l’utopia dell’educazione.

Informazioni aggiuntive

  • autore: Francesca Nodari
  • giornale: Giornale di Brescia

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