L'antropologo francese ha appena pubblicato «Scomparsa del desiderio» (Mimesis, 82 pp., 10 euro), il testo della conferenza tenuta l'anno scorso al festival diretto da Francesca No dari. Giovedì sera ha offerto molti spunti di riflessione al pubblico che affollava il cortile del castello Guaineri, a Roncadelle. È certo - ha esordito che «senza una certa prudenza la vita sarebbe impossibile o breve»; ma è altrettanto sicuro che «anche la vita più tranquilla non è mai immune dall'inaspettato, nel male e nel bene».
Il rischio «è al cuore della condizione umana», ma non solo: ogni nostra scelta è esposta all'ignoto e da esso circondata, perché «presa una decisione, si cancellano tutti gli altri futuri possibili: l'esperienza è fatta delle migliaia di vite non vissute a fronte del granello di sabbia che ha orientato il cammino». Scartata ogni alternativa, nessuno può comunque sapere «se una decisione buona non sia invece la premessa del peggio. Esiste sempre un divario tra intenzioni e conseguenze, il mondo non è l'estensione compiacente dei nostri pensieri. La decisione più rischiosa è avolte la più saggia, mentre quella che sembrava più sicura può rivelarsi una trappola terribile».
Ecco perché, a volte, per agire «da attori e non da vittime della nostra vita», è meglio un rischio scelto consapevolmente. Se assunto con «un'intelligenza sensibile e pratica», esso può rivelarsi «un motivo di sviluppo, una risorsa per ridefinire la propria esistenza, una scuola di carattere, lo strumento per sconvolgere la fissità delle cose».
Pescando citazioni da autori come Melville, Conrad, Thoreau e altri, Le Breton ha evocato il fascino che, attraverso i libri, esercita su di noi il sogno di vivere altre vite, di uscire da un mondo troppo prevedibile. Ha ricordato le mappe appese alle pareti delle aule di scuola, «dove a 15 anni la mia mente si p erdeva tra i nomi di paesi lontani, quando le molte punizioni che prendevo mi costringevano fermo in un angolo». O certi francobolli che facevano sognare: «Un giorno, in Algeria, ho riconosciuto con commozione il paesaggio che era riprodotto su uno di essi». È il richiamo insistente dell'altrove, che «aggiunge al sognatore un supplemento d'anima: è il luogo della possibile rettifica di un senso di sé troppo pesante, lo spazio di una potenziale riconciliazione con il mondo».
Le Breton ha raggiunto la notorietà con alcuni libri dedicati all'elogio del camminare, «dei sentieri e della lentezza». Proprio nel rischio calcolato del cammino può, per lui, apparire quell'altrove che apre a un nuovo incontro con se stessi: «La camminata è un tuffo nell'interiorità, in un mondo utilitaristico fa appello alla passione dell'inutile, si riferisce alla pura generosità di vivere. Il camminatore gusta un mondo che non aveva mai percepito, facendo un'esperienza di felice ritorno al corpo. Si spoglia di facilitazioni e ingombri, riducendo i desideri all'essenziale». Ogni marcia può trasformarsi in un pellegrinaggio, nel quale «ognuno va verso il proprio santuario interiore». Sfuggito alla «tetra incuriosità» che protegge ma porta a morire di noia, il viandante contemporaneo può finalmente ritrovare «la convinzione di essere vivo, di fronte a un mondo diventato inesauribile».