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Domenica, 20 Luglio 2025 01:03

UNA CONOSCENZA MOLTO POCO CARNALE

Iperconnessioni. Lo smartphone è diventato un feticcio contemporaneo e il legame sociale è più un dato ambientale che un'esigenza morale. E la conseguenza è la scomparsa del desiderio

Se c'è un filrouge che unisce i due importanti saggi di David Le Breton: La scolliparsa del desiderio e di Danielle Cohen-Levinas: La saggezza del desiderio. Stare di fronteall 'assenza di stelle (entrambi editi da Mimesis e curati da chi scrive quest'articolo) è proprio la denuncia del venir meno della relazione e la riduzione dell'Altro alla sua voce per arrivare, addirittura, alla sua scomparsa. Ed è proprio attorno a questo fenomeno diffuso e dilagante che, per un verso, uno dei sociologi più apprezzati della contemporaneità, e per l'altro, una delle filosofe più illustri del nostro tempo, giungono a chiedersi che cosa rimanga, oggi, del desiderio.

Le Breton nota come nella nostra società iperconnessa e caratterizzata «dall'immenso accumulo delle tecniche, (che) invece di liberare gli uomini e di diminuire le tensioni o la fatica, non cessa al contrario di accrescerle», si realizzi una «desincronizzazione» dei soggetti rispetto alle molteplici temporalità. Immersi in una corsa che non prevede fermate o momenti di pausa, gli individui si trovano a vivere in una realtà parallela ove il reale è subordinato e schiacciato sul virtuale. Capo chino sullo smartphone in qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi circostanza - dal pasto in famiglia alla cena tra amici, mentre si cammina per strada o addirittura quando si ha di fronte una persona che attende pazientemente che si torni a riservarle quel poco di attenzione che merita: «gli americani hanno inventato il termine phubing, contrazione di phone e di snubig («ignorare») che traduce il fatto di inviare sms continuando a guardare il proprio interlocutore negli occhi» - il dispositivo assume, ormai, i tratti di un «devozionale». Di qui la perfetta «ibridazione uomo-macchina» e un'iperindividualizzazione del legame sociale. L'individuo non resiste al magnetismo del dispositivo: «lo smartphone è diventato un feticcio contemporaneo» e «il legame sociale è più un dato ambientale che un'esigenza morale».

Ed è proprio in virtù di questo «affanno» del vivere alimentato dell'iperconnessione che si avverte la necessità di assentarsi da sé, di ritrarsi dalle richieste spasmodiche di efficienza dove la prestazione si fonde con l'azionismo e dove la parola scivola nella mera richiesta di contatto. Una ricerca d'impersonalità permeata dalla volontà di non concedersi più, se non sotto una sembianza neutra. Nel difficile sforzo di essere sé, molti individui preferiscono «fare il morto», prendersi un periodo di vacanza dalle sollecitazioni di una società spettrale, vivere al minimo, come fossero degli «eremiti del XXI secolo».

Le Breton descrive le varie forme di fuga da sé o blancheur che possono accadere a causa di un lutto, una separazione o in seguito ad un licenziamento. Per non dire dei dolorosi annullamenti di sé quali la depressione, il burn out, il deficit di attenzione per arrivare a quell'intorpidimento progressivo che si chiama Alzheimer, e che è una «fuga senza ritorno».

Partendo da una prospettiva fenomenologico - ermeneutica, Danielle Cohen-Levinas mostra come le nozioni di saggezza e di desiderio non si contrappongano, bensì si compenetrino e siano depositarie di un messaggio di estrema importanza: nell'era della perdita dell'aura, dell'indifferenza, dell'individualismo occorre tornare a saper «stare di fronte all'assenza di stelle» ovvero a ciò di cui non possiamo appropriarci. Questa assenza di stelle non rinvierebbe tanto ad una mancanza, ad una negazione, ma ad un'assenza che con il nostro esserci mortale e corporeo sperimentiamo allorché ci troviamo dinnanzi all'inafferrabile, all'inappropriabile, a colui che sfida «il mio potere di potere» e che, nel mio stesso temporalizzarmi, mi sta di fronte in una relazione asimmetrica pregandomi di non uccidere l'Altro e di non lasciarlo solo nella sua mortalità. «La nostra soggettività - insiste Danielle Cohen-Levinas - , è sinonimo di desiderio metafisico dell'altro . Il desiderio di spossessamento e non di possesso - ci rende capacidi alzare lo sguardo o (di indirizzare) verso l'assenza di stelle, finché l'illuminazione profana o trascendente si palesa».

All'«uomo senza mani» del futuro si contrappone la saggezza delle mani dell'«io sono» di carne e di sangue e al desiderio sepolto dal consumo feticista contemporaneo si contrappone il «desiderio alato che trascende le cose sensibili», senza cadere nell'inganno infocratico di degradarle a non-cose. Di contro alla riduzione dell'eros a fusione e in stretta connessione con Il Cantico dei Cantici, (che) incarna l'iperbole di un desiderio immemoriale. La sessualità e la differenza sessuale appartengono alla fattualità intera e indivisibile dell'esserci umano come corpo. E che tuttavia proprio inessa si rivela anche il fondamentale stato di bisogno proprio di me stesso, come la necessità che io prenda sul serio il tempo che accade tra l'altro e me.

Conoscersi carnalmente indica che il corpo nasconde un sapere ignaro dell'Altro che sarebbe la vera e propria saggezza del desiderio. Ora, in quanto «significato corporale del tempo» la carezza che, secondo Emmanuel Levinas, «è un modo di essere del soggetto» non inaugura, forse, versus la sincronia un tempo diacronico, che scorre di traverso? Di quila possibilitàdi scorgere nella carezzalatrascrizione incarnata di quel desiderio senza posa e senza presa dell'Altro, che «èrattesadi questo avvenire puro senza contenuto». Non è, forse, questa la cifra del desiderio autentico? Di un desiderio di cui il soggetto contemporaneo è, paradossalmente, rimasto privo e di cui ha disperatamente bisogno per continuare a dirsi umano? 

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