Dopo l'intervento del consigliere con delega alla Cultura Alessandro Cicognini e l'introduzione di Nodari, la parola è passata a lui, il «filosofo delle piante», che ha esordito con una verità semplice e potente: gli uomini rappresentano appena lo 0,06% della vita sul pianeta. Le piante? L'87%. Eppure continuiamo a pensare di essere al centro dell'universo.
Mancuso non si limita a dare numeri. Li scolpisce nella coscienza. «Viviamo in una bolla cognitiva», ha spiegato. Una distorsione che ci impedisce di vedere la realtà com'è: dominata, nutrita e mantenuta viva dalle piante. «Soffriamo di plant blindness: siamo ciechi davanti alla vegetazione, anche se è ovunque. Il nostro cervello, evoluto per reagire ai pericoli, le filtra. Non le vede perché non mordono, ma è un errore colossale». E così ci dimentichiamo che, senza le piante, non ci sarebbe ossigeno, cibo, equilibrio climatico, né futuro. Non ci sarebbe vita.
Le piante sono intelligenti («più di noi»), ha ribadito, le piante pensano. Non nel nostro modo, ma in uno distribuito, diffuso, silenzioso, in cui ogni parte del loro corpo vede, respira, decide. Non hanno cervello, ma ragionano; non hanno occhi, ma percepiscono la luce. Sono statiche, eppure sanno muoversi nel tempo evolutivo con una saggezza che ci manca.
E quando racconta di come gli alberi si aiutino tra loro, condividano acqua e nutrienti attraverso le radici, si prendano cura delle piante più deboli del gruppo, il corpo umano diventa di colpo imperfetto. O meglio, se ne ha consapevolezza.
«La versione degli alberi», il volume su cui si incardina l'intervento di Mancuso, dà voce a una civiltà ben più antica della nostra, che coopera, anziché competere. Una civiltà dove il bimbo di Omelas, dalla cui infelicità deriva il benessere di chi gli sta accanto, non può esistere e nemmeno lo si vuole.
E il futuro? Dipende da noi.
«La vita media di una specie è di circa 5 milioni di anni: noi siamo qui da appena 300mila - ha aggiunto il professore - Se fossimo "normali", avremmo ancora 4,7 milioni di anni davanti. Ma stiamo distruggendo tutto troppo in fretta. Se ci estinguessimo presto, saremmo la specie più stupida della storia».
Un paradosso doloroso, che però non sfocia nel pessimismo. Al contrario, Mancuso si aggrappa con forza a una possibilità: la scelta. Possiamo cambiare rotta. Possiamo imparare dalle piante. Possiamo, se vogliamo, esistere in un modo nuovo, più leggero, più consapevole, più giusto. «Come San Francesco, dobbiamo riscoprire l'uso povero delle risorse», ha concluso, invitando a guardare il mondo con occhi diversi.
A Coccaglio, per una sera, gli alberi hanno parlato. E tutti noi abbiamo finalmente ascoltato.