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Domenica, 22 Giugno 2025 17:09

Miguel Benasayag: «Oggi è difficile trovare un nemico»

Come Che Guevara, Miguel Benasayag si è formato nel campo della medicina. In particolare, quello della neurofisiologia; e sullo studio della mente ha impostato il suo pensiero psicanalitico e filosofico. Prima di tutto, però, proprio come Che Guevara, Benasayag è un militante.

Nato a Buenos Aires nel 1953, ha dedicato la sua gioventù alla lotta al regime dei colonnelli argentino nelle file dell'Esercito Rivoluzionario del Popolo. Venne arrestato tre volte, e nelle prigioni sudamericane subì mesi di sevizie e torture. «Una resistenza pericolosa, ma lineare, semplice. Sapevamo chi fosse il nemico. Oggi il mondo è cambiato, ed è tutto più complesso. È un sistema ad ingranaggi, in cui è difficile trovare un responsabile». Nonostante cambino i «metodi di resistenza», però, «io rimango militante». Domani Benasayag sarà a Lograto per la rassegna Filosofi lungo l'Oglio, in cui verrà premiato per il suo libro del 2019 «Funzionare o esistere».

La contrapposizione fra questi due modi di vivere è alla base di una parte consistente del pensiero di Benasayag. «L'agire dell'uomo è intrappolato nell'utilitarismo funzionalista che caratterizza il nostro mondo in crisi». E il problema è che «non esiste un orizzonte per superare la crisi». Dall'«agire secondo virtù» dei classici, insomma, si sarebbe passati all'«agire secondo utilità: il funzionare ci intrappola in un circolo vizioso che ci obbliga a giustificare perché viviamo. Invece bisognerebbe riuscire a vivere da inutili, e percepire tale condizione come la perfezione stessa». Una visione implicitamente positiva della natura umana con cui non sarebbe d'accordo gente come Schopenhauer. «La distanza fra Berlino e Buenos Aires è incommensurabile. Non riesco a concepire una natura umana come sofferenza, né una natura umana in sé: l'uomo è in permanente costruzione, è un diventare dinamico. È gioia per la potenza di agire e costruire legami». Da qui, la necessità di seguire il «richiamo del desiderio», secondo l'immagine «alata» che ne dà Platone nel Fedro.

«In Occidente, gli uomini si sforzano terribilmente di reprimere il desiderio. Esso è percepito come una mancanza: ci manca sempre qualcosa, non siamo mai arrivati. E così ci troviamo nella fuga in avanti dell'iper-modernità». Alla quale bisogna saper resistere. «Ma non in modo tecnofobo, bensì valorizzando la singolarità del vivente». Qui ritornano gli studi di Benasayag sulla mente umana e sul suo rapporto col corpo: «Il cervello isolato dal corpo non esiste. La macchina può calcolare, ma non sentire: esistere significa innanzitutto vivere nel presente, e gli algoritmi non sono in grado di farlo».

Benasayag non sembra vedere però alcun modello alternativo: «Non al momento. La caratteristica filosofica della modernità è sentire l'incompiutezza del mondo, e affannarsi a completarlo. Dobbiamo vivere e agire senza promessa: questa è la cosa più angosciante». È quello che scrisse Pessoa poche ore prima di morire: I know not what tomorrow will bring.

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