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Paolo Becchi - Il duplice volto della dignità umana

L’ AMBIVALENZADELLA NOZIONEDI DIGNITÀ UMANA.
L’ originalità del saggio qui proposto consiste nel mostrare la problematizzazione del concetto di dignità – teso tra dote e prestazione – con particolare riferimento agli sviluppi avvenuti a partire dalla seconda metà del secolo scorso e seguendo una dinamica simile a quella relativa ai diritti umani e alla loro conseguente proliferazione: si è spostato l’accento dall’uomo generico, considerato uguale a qualsiasi altro uomo, all’uomo concreto in quanto appartenente ad un gruppo particolare, ad un genere oppure in quanto calato in una particolare fase della vita (i diritti dell’anziano, del bambino, del malato, delle persone diversamente abili).

Senza dimenticare l’estensione del diritto dalle diverse fasi della vita pre-natale e del finis vitae all’esistenza delle generazioni future e ai soggetti non-umani come gli animali e i vegetali. Paolo Becchi, con grande competenza, affronta i passaggi chiave che riguardano la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – entrata in vigore nel settembre 1953 – e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – proclamata a Nizza nel dicembre del 2000 e riconosciuta dal Trattato di Lisbona nel dicembre 2007 – mostrando gli sviluppi di questo secondo documento in cui la tutela della dignità viene riaffermata sia in riferimento alla persona sia in relazione all’individuo concreto. Una difesa a tutto campo della dignità umana che, secondo l’autore, amplifica lo spazio ad essa attribuito nella Convenzione di Oviedo, nella quale si afferma «la necessità di rispettare l’essere umano sia come individuo sia come appartenente alla specie» con particolare riferimento ai rischi connessi all’applicazione dei progressi messi in atto dalla medicina e dalla biologia.

Sebbene, come si evince da una serie di articoli, la nozione di dignità pare connessa all’autonomia del soggetto e all’indispensabilità del consenso informato per quanto concerne la scelta della cura o qualsiasi intervento che riguarda la sua salute come del resto l’eventuale donazione degli organi, non si può negare che emerga chiaramente anche l’intendimento del concetto di dignità in quanto principio intangibile: la tutela dell’indennità genetica e la proibizione della clonazione umana sono due esempi emblematici. Di qui la trattazione della nozione di dignità finalizzata esclusivamente al rispetto dell’autonomia individuale. Una pericolosa cristallizzazione che poche resistenze potrebbe opporre agli interrogativi circa la produzione degli embrioni ai fini della ricerca, alla possibilità di guidare l’evoluzione, ad una riproduzione che non si vorrebbe più affidare al caso della specie, ma controllare attraverso la biologia molecolare.

Se il fine è la sconfitta di alcune malattie e il raggiungimento dell’eccellenza umana, perché contrastarne i mezzi? Questo è il grande dilemma che segna il passaggio, come Günther Anders scrisse profeticamente, dall’homo faber all’homo creator. La posta in gioco è alta: stiamo avanzando verso un’era post-umana ove il futuro è la manipolazione genetica. Becchi richiama tre voci autorevoli che, da prospettive diverse, riportano in auge il concetto di dignità come imago Dei. Se per un verso Robert Spaemann insiste, superando così il rimprovero di specismo, sul fatto che «l’uomo possiede una specifica dignità non per la sua particolare conformazione genetica, ma perché è l’unico essere in grado di relativizzare se stesso», dall’altro, Hans Jonas, cercando di separare il discorso metafisico da quello religioso, di fatto reintroduce argomenti teologici in un’etica laica; mentre Jürgen Habermas suggerisce di «tradurre l’idea di un uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio nell’idea di un’eguale dignità di tutti gli uomini». Come dire: proprio nell’epoca della secolarizzazione, si assiste al paradosso di una riaffermazione della religione come «risorsa culturale insostituibile», ad un risveglio di Dio che non può restare confinato nell’ambito privato della coscienza del singolo.

Tuttavia, come mostra l’autore, occorre intendersi sulla portata della difesa dell’immagine dell’uomo, sempre esposta al rischio di cadere nella difesa di una determinata immagine, con tutte le implicazioni che derivano dal dover distinguere la rivendicazione dell’autodeterminazione dalle sue ricadute eventualmente lesive della dignità di altri. Si pensi, soltanto, alla scelta di una donna di «affittare il suo utero» e alle delicatissime questioni che ricadono sul nascituro, che «viene venduto e comprato come una qualsiasi altra merce». Il saggio si conclude affrontando le sfide cruciali della bioetica medica concernenti l’inizio e il fine-vita: dalla manipolazione degli embrioni alla procreazione medicalmente assistita, dall’interruzione volontaria delle cure allo stato clinico di morte cerebrale, con conseguente prelievo di organi. Tutti casi in cui si manifesta nuovamente, con il darsi di schieramenti opposti, il duplice volto della dignità umana con il rischio palpabile che la propensione unilaterale per uno dei due profili non colga in toto la complessità del contesto in cui si pretende di agire in nome della dignità. Se è vero che proclamarne l’indisponibilità non basta quando il soggetto non è in grado di soddisfare i suoi bisogni, è altrettanto certo che puntare soltanto sull’autonomia significherebbe rimuovere quella traccia d’assoluto di cui l’uomo è portatore. In altre parole, significherebbe negarne l’immagine.

Informazioni aggiuntive

  • il libro:

    Genere: Saggistica
    Collana: Granelli/Filosofi lungo l'Oglio - 8
    Formato: 110x155x4 mm - pp. 72 - copertina semirigida
    Edizione: 2012
    ISBN: 978-88-8486-529-8
    Prezzo: 5,00

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