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Venerdì, 04 Luglio 2025 01:21

Dall'essere all'origine del pensiero

Danielle Cohen-Levinas Danielle Cohen-Levinas

Da Cartesio (con la sua formula Cogito ergo sum - «Penso, dunque sono») abbiamo appunto ereditato l'idea che ogni soggetto umano sia contraddistinto essenzialmente dall'attività del pensiero (poi, eventualmente, potrà condividere con altri i contenuti che ha pensato).

In un suo testo della metà degli anni Venti, però, Franz Rosenzweig metteva in dubbio questa concezione: se il pensiero è sempre tentato di astrarre dal tempo («vorrebbe stabilire mille connessioni in un colpo solo»), il parlare «è invece legato al tempo - affermava Rosenzweig - ,nutrito da esso; non può né vuole abbandonare questo terreno nutritivo; non sa in anticipo dove giungerà; lascia che siano altri a suggerirgli le sue battute». Avrà un titolo composito («Io parlo, dunque esisto» in «Variazioni sul pensiero parlante di Franz Rosenzweig e di Emmanuel Levinas») la lectio magistralis che la filosofa e musicologa Danielle Cohen-Levinas terrà questa sera alle 21 ad Adrara San Martino, al Santuario della Madonna del Monte Oliveto; l'incontro, a ingresso libero, rientrerà nel programma di «Filosofi lungo l'Oglio», una rassegna itinerante che ogni anno tocca diverse località delle province di Brescia, Cremona e Bergamo (la parola chiave di questa edizione è «Esistere»; per il calendario completo dell'iniziativa: filosofilungologlio.it).

Docente a Parigi, alla Sorbona, Danielle Cohen-Levinas è sposata con il compositore Michaël Levinas, figlio di Emmanuel (1906-1995), uno dei maggiori filosofi del secolo scorso. Abbiamo chiesto alla studiosa francese di anticiparci alcuni contenuti della sua relazione di stasera: «Nella storia della filosofia ricorre quella che potremmo definire un'illusione intellettualista. Consiste nel definire il soggetto umano innanzi tutto come sostanza pensante, solo in un secondo momento come un esistente e un essere parlante. Quando Cartesio afferma che il soggetto si qualifica per il pensiero, per un'operazione mentale, egli finisce con l'obliterare la nozione stessa di esistenza.

Certo, vi è il pensiero — nessuno oserebbe contestare questa verità. Ma chi pensa, al di là del pensiero stesso? Un soggetto che non solo pensa, ma che, prima ancora di pensare, parla, dice "io"».

Nel suo intervento, lei porrà l'accento sulla preminenza di questo «soggetto parlante»?

«Del soggetto parlante e del corpo parlante. La parola, come il corpo, è al centro delle nostre esistenze. Si tratta di un'esperienza che non si ridu- ce a un "atto dell'intelletto", per riprendere l'espressione di Cartesio. L"`io" che esiste incontra e si rivolge ad altri, a un "tu" che esiste tanto quanto me, prima di conoscerlo, prima ancora di sapere chi egli sia. E questa l'unica certezza concreta, che precede la dimensione del "cogito". Anche perché la coscienza di sé — e dell'altro — la consapevolezza del fatto che siamo delle esistenze e degli esseri esistenti, non equivale affatto auna conoscenza di sé».

Il «Cogito ergo sum», per Cartesio, sarebbe stata una prima evidenza in grado difondare un intero edificio del sapere.

«Il mio intento invece non è quello di fondare, ma di pensare l'esistere come relazione tra corpi e soggettività parlanti».

Anziché «Penso, dunque sono» ognuno di noi dovrebbe dunque dire: «Parlo, quindi sono»?

«Per la verità, il titolo della mia relazione non sarà "Io parlo, dunque sono", ma "Io parlo, dunque esisto". Il lessico cartesiano è divenuto talmente costitutivo del nostro modo di pensare, che fatichiamo a cogliere la distinzione tra l'essere e l'esistere. Il riferimento a Cartesio rimane anche per me fondamentale, ma il mio tentativo è di andare oltre. Sussiste, per me, una certezza immediata, preriflessiva, se si preferisce: quella dell'esistenza di Altri. Tale certezza può manifestarsi, come sosteneva Edmund Husserl, in un senti mento originario di coesistenza; ma può anche darsi come intersoggettività, più precisamente come punto d'origine della nostra soggettività, che si scopre portatrice di una dimensione etica irriducibile, della quale non può disfarsi».

Oltre che il linguaggio umano, nella filosofia di Franz Rosenzweig ha un ruolo centrale la parola di Dio: egli si impegnò a lungo in un lavoro di traduzione e commento della Bibbia ebraica.

«Nella mia conferenza metterò a confronto due figure di filosofi di primaria grandezza, Rosenzweig e Levinas. L'opera di Rosenzweig — in particolare "La stella della redenzione" (1921) — ha avuto un'influenza determinante sul pensiero di Emmanuel Levinas,specie nell'elaborazione del suo grande libro "Totalità e Infinito"(1961). Rosenzweige Levinas affrontano la medesima questione: come uscire dalla"totalità", intesa nel senso di un sistema che non lascia nulla all'esterno, che assorbe tutto — la storia universale, la politica, la trascendenza? Nella totalità, l'Identico assorbe l'Altro. E qui che la questione dell'esistenza - nella sua singolarità irripetibile e insostituibile - si rivela decisiva. Le esistenze soggettive sono intese da Rosenzweig come protesta contro il sistema, contro la totalità; ma possono essere intese - come fa Levinas - nella forma dell'apertura verso Altri, verso un'alterità che interrompe il regime della totalità, eccedendola. Nelle Scritture ebraiche, la parola è precisamente ciò che viene a infrangere l'anonimato del soggetto. Vi è un tempo della parola che decostruisce le totalità, le spezza e le polverizza. Ecco perché la dimensione del linguaggio è così essenziale nella tradizione ebraica. Dio parla e il mondo viene creato. La parola di Dio è interlocuzione. Dio interpella anche le creature umane — Adamo e i profeti biblici — e ognuna di loro gli risponde: Hinneni — Eccomi».

Le parole - umane e divine - agiscono, sono efficaci?

«La parola ha un potere di concretizzazione. In Freud, per esempio, la parola possiede una materialità: è uno dei motivi centrali della psicoanalisi, per cui la pratica clinica ha come medium le parole del paziente. In effetti, nel titolo della riflessione che condurrò ad Adrara San Martino ("Io parlo, dunque esisto") traspare, in filigrana, l'idea che la lingua biblica intessa le nostre coscienze contemporanee, le nostre
modalità di pensiero e di espressione: come un intreccio trans-storico di parole a noi rivolte, di cui saremmo i depositari».

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