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Martedì, 13 Maggio 2025 01:11

FILOSOFIA & ETOLOGIA LA FELICITÀ DEL CANE E IL DILEMMA DELLA BISTECCA

Mark Rowlands - Filosofia del cane. Lezioni di felicità e saggez- za dai nostri píù fedeli compagni di vita Mark Rowlands - Filosofia del cane. Lezioni di felicità e saggez- za dai nostri píù fedeli compagni di vita

I cani sono filosofi per natura. Parte da questa affermazione socratica, il libro appassionato di Mark Rowlands, professore di Filosofia all'Università di Miami, intitolato Filosofia del cane. Lezioni di felicità e saggezza dei nostri più fedeli compagni di vita. Traendo ampio spunto dall'esperienza personale con due pastori tedeschi e due incroci di lupo e malamute e confrontandosi con le idee dei principali pensatori dell'antichità e della modernità, Rowlands mette capo ad una vera e propria fenomenologia dell'universo canino.

Uno dei tratti paradigmatici che attraversano l'intero saggio è riconducibile alla domanda di Camus «se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta». Rowlands che mostra, sin da subito, come per il suo pastore tedesco Shadow la felicità risieda nelle piccole cose, propone una versione rivista del mito di Sisifo - notoriamente considerato una delle allegorie dell'esistenza umana per la mancanza di senso della vita intesa come attività ripetitiva. In questa nuova versione la misericordia divina consiste nel cambiare l'atteggiamento di Sisifo nei confronti delle condizioni date al punto che, invece di detestarle, questi comincia ad apprezzarle e a goderle. Il massimo della felicità è spingere enormi massi su per il pendio e gli dèi gli hanno offerto l'eterno esaudimento di questo strano desiderio. Ma v'è una precisazione da fare.

Se la gioia più grande per Shadow risiede nel rincorrere su un canale di Miami le iguane prima che si gettino nell'acqua e, in ciò, consiste la sua autentica felicità, per Sisifo la felicità è un qualcosa che proviene da fuori e che certamente non coincide con l'immediatezza vissuta da Shadow.

Il libro - che si confronta sulle questioni centrali dell'esistenza: dalla libertà alla moralità al senso della vita - è attraversato da un fil rouge che segna la più grande differenza tra gli umani e i cani: diversamente da questi ultimi, gli umani sono condannati alla riflessione ovvero alla capacità di pensare alla propria vita - da un lato oggetto, dall'altro vissuta -, di osservare e di osservarsi e di vivere eternamente scissi nei due ruoli di attori e spettatori di sé stessi. Di qui la nostra condizione di senza dimora per via di quella ferita incurabile che si chiama riflessione. Per converso, i cani sono creature capaci di pre-riflessione, il che significa che sono necessariamente coscienti di sé, ma in modo non riflessivo.

Per spiegarne il senso l'autore torna all'animosità di Shadow che, per identificare le iguane, sembra basarsi sulla loro silhouette. A volte certe fronde o detriti vegetali si presentano in un modo che, da lontano, può ricordare la sagoma di un'iguana cosicché, dopo le sue iniziali sgroppate, Shadow si calma e, ogni qual volta vede qualcosa che gli pare un'iguana, gli si avventa contro. Da questo comportamento possiamo dedurre che Shadow classifica certe sagome come iguane vedendole in termini di «disponibilità» o «invito all'uso»: del resto l'atto di vedere è predittivo ed è ciò che fornisce il nesso tra l'occorrere di certi eventi e le conseguenze. Vedere è prevedere e le predizioni possono essere smentite dai fatti e modificano le azioni: il cane invece di compiere lo scatto esplosivo, si acquieta. Un altro elemento degno di nota è la differenza che corre tra la libertà canina, o spinoziana, e quella umana: se la libertà di un cane prende corpo laddove ciò che lui è e ciò che lui fa si fondono in un'inscindibile espressione vitale, quella umana è sempre indice di ciò che non siamo, di un «per sé» preso nella sua opera di nullificazione, condannato ad essere libero, sorpreso dall'angoscia e con un'unica via di fuga: la malafede.

E se i sostenitori della tradizionale concezione riflessiva aristotelico-kantiana escludono che gli animali possano agire moralmente, Rowlands mostra l'infondatezza delle loro ragioni, specialmente, quando essi sostengono che, per agire moralmente, sia necessario avere il controllo delle proprie motivazioni e che, per ottenere il controllo, sia necessario un esame critico. In realtà, l'Autore mostra come esista una moralità canina fondata su due pilastri: sulla simpatia o contagio emotivo e sull'inibizione ovvero sull'amore e sulla disciplina instillata a piccole dosi sin da quando i cani erano cuccioli. Il fatto, inoltre, che essi siano capaci di effettuare inferenze ovvero di ragionare logicamente come è stato riscontrato sottoponendo i cani ad appositi test, smentisce quanto sostenevano Platone, Aristotele e Cartesio allorché affermavano che gli uomini sono le sole creature razionali. Se è vero, come sosteneva Whitehead, che «la civiltà progredisce quando aumenta il numero delle azioni che possiamo eseguire senza riflettere», allora questo è un progresso per la civiltà canina. Civiltà che ha dei notevoli vantaggi sugli umani anche per quanto concerne il senso della vita: non essendo scissi in due parti dalla riflessione, non hanno che una vita da vivere.

Un cane ama la sua vita con tutto sé stesso perché non ha altro, ne esperisce l'autentica felicità come ha dato prova Hugo, un altro pastore tedesco, della stessa taglia di Shadow. Prima del suo congedo, straziato da una terribile artrosi alle anche e con una sofferenza collo cabile tra l'intenso e l'indescrivibile, questi, nei quindici minuti che precedevano l'arrivo della veterinaria e il suo inevitabile addormentamento, riuscì a tenere a bada la morte scorrazzando in lungo e in largo con il suo manicotto, come fosse guarito. Una manciata di istanti di redenzione che ci insegna cosa significa amare, fino in fondo, la vita.

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