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Giovedì, 20 Luglio 2023 01:47

FRANCO ARMINIO «L'ECLISSI DELLA TRASCENDENZA» CI RENDE SOLI E PRODUCE INGIUSTIZIE»

«Paesologo». Franco Arminio,che ha pubblicato «Sacro minore», ritratto da Dino Ignani «Paesologo». Franco Arminio,che ha pubblicato «Sacro minore», ritratto da Dino Ignani

«Sacra è la grazia della vita ordinaria» scrive Franco Anninio nel libro «Sacro minore» (Einaudi, 160 pagine, 16 euro), una raccolta di brevi poesie dedicate alla ricerca del sacro nelle «cose minute, minutissime» della quotidianità. Il poeta irpino, molto amato da tanti lettori, porterà nei prossimi giorni i suoi versi in alcuni paesi del Bresciano, idealmente apparentandoli con quei borghi appenninici che, nella sua veste di «paesologo», cerca da tempo di difendere con atti e parole dallo spopolamento.

Domani, venerdì, alle 20.45, Arminio presenterà «Sacro minore» nel Centro sportivo di Mura, in Valle Sabbia, nell'ambito del Cult-Cura Festival. Domenica 23 luglio scenderà in pianura, per accompagnare con le sue parole una passeggiata storico-filosofica organizzata dal festival Filosofi lungo l'Oglio, con partenza alle 16 dalla frazione di Barco e arrivo all'Azienda Le Vittorie di Villachiara.

Arminio, come è nata questa meditazione poetica sul sacro?

È un tema presente da tempo nei miei libri: il «sacro minore», quello delle giornate ordinarie, che non ha bisogno di circostanze o riti particolari. Ho deciso di farne un libro intero perché ne ho avvertito l'urgenza. Credo che nella società attuale l'eclissi della trascendenza, dello stupore, abbia conseguenze molto gravi. Anzitutto ci rende soli: un rapporto sanitario redatto negli Stati Uniti parla di una «epidemia di solitudine». Questo modello di sviluppo, inoltre, produce crescenti ingiustizie sociali e il drammatico mutamento del contesto ambientale che ormai verifichiamo tutti i giorni.

Non basta l'impegno politico o civile?

Se non ritroviamo un rapporto col sacro, col trascendente, secondo me ci perdiamo. La tecnologia, che è diventata il sacro dei nostri tempi, è sicuramente uno strumento utile; ma noi non siamo felici, basta vedere quanti psicofarmaci sono consumati nelle nazioni più ricche.

Nel suo libro risuona un continuo invito all'attenzione...

La parola cruciale è proprio questa, attenzione. Dobbiamo sviluppare sempre di più l'attitudine percettiva. La poesia ama i percettivi, perché è la scienza del dettaglio: non si interessa delle donne ma di quella donna, non dei baci ma di quel bacio. È una meditazione concentrata sul particolare. Una virtù fondamentale per questo tempo: con la nostra attenzione possiamo dare un contributo importante, perché se non sai guardare il mondo che ti circonda in modo corretto farai delle scelte sbagliate. Se un dirigente politico o aziendale non ha la capacità di leggerei luoghi, non saprà produrre scelte adeguate ad essi.

Ma la poesia può aiutare a guardare meglio? Lei dice che «la scrittura è un chiodo di pane»...

Non possiamo pretendere di avere riscontri immediati. Faccio un incontro in una sala con cento persone, c'è un ragazzo di 20 anni e magari su una parola o un verso si apre una crepa che lo orienta da un'altra parte rispetto al suo corso. La parola ben detta è potente, un farmaco che entra in circolo nel corpo. Siamo sommersi da un'inondazione di parole e rischiamo di non vederne più la sacralità. Per essere forte, la parola deve venire dal silenzio e questo oggi non accade. Tutti poggiano una parola sull'altra in un diluvio chiassoso. Ma non è banale parlare, è ancora un terreno su cui ci possiamo incontrare.

«Sacro è che se muore una formica/ l'universo lo sa immediatamente». Dobbiamo riscoprire il legame tra il minuscolo e l'infinito?

Dobbiamo aggiornare il modo di percepirci ed essere capaci di stabilire connessioni. Per esempio, tra poesia e partecipazione civile: mi posso occupare nello stesso tempo di un sonetto di Dante e di un inceneritore. Non si tratta di guardare solo quel centimetro di mondo che sta sotto i nostri occhi. C'è anche da scatenare l'immaginazione./p>

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