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Giovedì, 17 Aprile 2014 15:32

«Se la scelta della moralità fosse la miglior politica»

Francesca Rigotti Francesca Rigotti

È appena giunto in libreria «Onestà» (Cortina, Milano, 160 pp., 12 euro), l’ultima fatica di Francesca Rigotti - docente di Dottrine politiche all’Università della Svizzera italiana - a cui si deve il grandemerito di aver messo capo a una eccellente ricognizione di un concetto fortemente connotato da un punto di vista etico e paradossalmente poco indagato dai filosofi. Per l'occasione abbiamo incontrato l'Autrice.

Prof.ssa Rigotti, scopo del libro è di restituire alla nozione di onestà la ricchezza dei suoi significati. Che cos’è l’onestà e cosa intende, rifacendosi ad essa, per senso ristretto e senso esteso?
Chiamo senso ristretto dell’onestà quello che limita la nozione all’aspetto economico dell’evitare furto, imbroglio, corruzione e concussione, dilazione dei pagamenti ecc.; il senso esteso lo riferisco, invece, aduninsieme più vasto di requisiti, che comprendono anche l’onestà intellettuale: quindi non soltanto il non rubare, non frodare e non corrompere, ma anche il non mentire, non ingannare, non nascondere od omettere informazioni. Introducendo questo duplice senso, cerco di far chiarezza sull’onestà, che è una forma di comportamento... morale? Sì, diciamolo pure, morale, all’interno comunque di un’etica laica e non moralista.

«La donna è mobile(...) muta d’accento e di pensier» canta il duca di Mantova nel «Rigoletto», quasi a sottolineare come fedeltà e onestà non investono la sfera della moralità femminile: dalla musica operistica alla letteratura e persino alla pittura sembra imperversare questo stereotipo...
Quella dell’onestà femminile è una storia tragicomica: ancora oggi, se affermiamo che una tale Rossi è un’amministratrice onesta, o una persona onesta, le attribuiamo doti di correttezza e sincerità; ma appena diciamo che è una donna onesta, intendiamo una e una sola cosa: che trattasi di femmina casta e fedele. Il che è un po’ triste, onestamente detto, e molto limitativo dell’opinione che si ha dell’altra metà del cielo:come se alle donne non competesse la rettitudine, quanto una pericolosa tendenza all’inclinazione (che è il tema del bellissimo libro di Adriana Cavarero, «Inclinazioni. Critica della rettitudine », Cortina, Milano 2013).

«Non rubare», «non dire falsa testimonianza» possono ancora costituire la regola nella nostra società? Insomma, ci sono le condizioni perché l’onestà possa rimanere la miglior politica?
«L’onestà è la miglior politica» è, come lei ben sa, una frase del «Don Chisciotte» che è difficile da contraddire, almeno a parole. Da un politico onesto ci aspettiamo una buona politica, una politica onesta. Ma è davvero così importante possedere tale dote e dimostrarla nel comportamento? È rilevante che un politico sia onesto? Potrebbe essere più importante che sia compassionevole, o generoso, o astuto, perché no. Persino per essere disonesti, poi, ci possono essere molte buone ragioni: si possono deludere e ingannare alcune persone per proteggerne altre, o per beneficare la società, e allora perché privilegiare l’onestà? Come vede, tanti sono i problemi che si aprono appena si affronti il tema in maniera approfondita.

Lei traccia una corposa genealogia della nozione di onestà che, prendendo le mosse dagli antichi, passa dagli sviluppi del concetto nei secoli cristiani, nella letteratura duecento-trecentesca, per arrivare all’umanesimo fiorentino, allo scetticismo di Montaigne, a tutta la pubblicistica sulla perfezione del gentiluomo o «honnête homme», all’accezione degli enciclopedisti esplicitata nella voce «honnêteté», all’onestà che genera l’approvazione di Hume e all’offuscarsi del concetto di «honestum » come bene in sé: in breve, la vittoria dell’utilità sull’onestà. Cosa si può fare, oggi, per favorire un’inversione di rotta?
Domanda lunga, risposta breve: sarebbe già tanto che le persone che rivestono responsabilità pubbliche conoscessero la differenza tra utilità e onestà e si domandassero se agiscono in nome dell’una o dell’altra. Basterebbe quello.

Uno dei mali della nostra società si chiama corruzione.Se in quest’ultima l’onestà vede il suo opposto, di contro l’onore, la verità, la fiducia risultano in armonia conessa. Forse che da questa combinazione di elementi si dia la possibilità di superare il dilemma antico tra utilità e onestà?
Viviamo una crisi di sfiducia nella politica e nelle istituzioni, l’onore nonè più una virtù,anche se i politici continuano a chiamarsi onorevoli, la sincerità sembra sconosciuta: eppure tutti pensiamo che sia il caso di continuare ad insegnare ai bambini, a parole e nei fatti, che l’onestà è una bella cosa, che è benein generale rispettare i contratti e mantenere gli impegni; il che non esclude il sentirsi, comunque, liberi di affrontare situazioni eccezionali e straordinarie, che mettano davvero a rischio l’interesse ed il benessere di chi vi è coinvolto con mutato atteggiamento, coniugando felicemente l’utile con l’onesto.

Informazioni aggiuntive

  • autore: Francesca Nodari
  • giornale: Giornale di Brescia

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