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Mercoledì, 13 Giugno 2012 00:34

Marc Augé, dignità e potere nella «commedia» dell'essere umano

Nella chiesa di S. Maria Assunta, affollatissima, Erbusco ha accolto domenica Marc Augé per l'esordio del Comune franciacortino nel circuito, sempre più esteso, del festival Filosofi lungo l'Oglio.

Un «luogo» per eccellenza, spazio di sedimentazione dello spirito di una comunità, la parrocchiale settecentesca scelta per ospitare il grande etnologo: che - lo ha ricordato il direttore scientifico della rassegna, Francesca Nodari - è in Italia anche per festeggiare il ventennale della pubblicazione di «Nonluoghi», il testo nel quale coniò un neologismo destinato a entrare nell'uso comune, oggi riproposto dall'editrice Elèuthera con una nuova prefazione dell'autore.

Per i molti spettatori, salutati dal sindaco Isabella Nodari e dal parroco don Luigi Goffi, il Festival aveva pronto anche il settimo volumetto della collana «Granelli», i preziosi instant book editi da Massetti Rodella, contenente il testo letto l'altra sera da Augé. Una riflessione sul concetto di dignità - il tema di questa edizione - con al centro l' affermazione che «la coscienza di appartenere alla condizione umana costituisce tutta quanta la dignità dell'individuo». Augé ha anzitutto evidenziato l'«ambivalenza» del concetto di dignità, che si fa manifesta nel suo legame con il potere. Chi lo detiene, in democrazia come in altri regimi, deve «esteriorizzare la sua capacità supposta di esercitarlo», inscenando una «commedia» nella quale la dignità esibita è sempre aperta al rischio di rovesciarsi in caricatura.

Ma la dignità incarnata dal potente si rivela anche come «il corollario della dualità umana», definibile come compresenza, in ciascuno di noi, di una «dimensione singolare» e di una «generica». L' individuo è simultaneamente «tanto sociale quanto umano», ed è per questa condizione che «l'identità individuale si costituisce sempre in relazione con l'alterità». Chiunque può averne coscienza: ma il compimento concreto di questo sentire è ostacolato dalle «disavventure della storia», nella quale la preminenza dell'idea di potere «corrompe fin dall'inizio la relazione d'alterità e l'ideale della conoscenza».

È così che l'Europa «ha fallito il suo incontro con il mondo: la volontà di conglobare senza scambiare, di sfruttare e di colonizzare, in breve di esercitare il potere, ha minato la volontà di scoprire e conoscere che si esprimeva in primo luogo nella volontà di riconoscere l'eguale dignità di ogni uomo». I sistemi culturali sono prodotti tanto «della storia e delle lotte di potere», quanto «del cervello umano e del desiderio di sapere». Ma è sul versante «dell'interrogarsi, della curiosità, della ricerca o della creazione artistica che si colloca la dignità dell'individuo umano». Nella ricerca cresce «la coscienza condivisa del paradosso umano»: cosa esso sia, Augé lo chiarisce rinviando a Descartes, che intese provare l'esistenza di Dio «mostrando che c'era, nello spirito dell'uomo, creatura finita, un'idea d'infinito».

In questo modo, per lo studioso francese, il filosofo dimostrò anzitutto «l'esistenza dell'uomo»: poiché «questa idea dell'infinito non è che la coscienza della presenza dell'uomo generico in ciascuna singolarità individuale». Quell'Uomo di cui «la storia umana, attraverso le sue vicissitudini, lentezze e contraddizioni, cerca di stabilire la dignità agli occhi dei miliardi di individui che lo incarnano».

Informazioni aggiuntive

  • autore: Nicola Rocchi
  • giornale: Giornale di Brescia

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