Per molti anni docente di Filosofia teoretica presso l'Università di Milano - Bicocca, Salvatore Natoli è noto a un ampio pubblico anche come autore di bellissimi saggi sulla condizione umana, la pratica delle virtù e la ricerca di una «vita buona»: lo scorso anno la casa editrice Mimesis ha pubblicato un suo testo intitolato «Nonostante tutto. La costanza come laboratorio di speranza» (pagine 56 con una postfazione di Francesca Nodari, 7 euro, disponibile anche come ebook a 4,99 euro).
L'11 novembre, a Bergamo, nell'auditorium del Liceo Mascheroni in via Alberico da Rosciate, Natoli sarà ospite-relatore del XXXIII Corso di Filosofia di Noesis: la sua lezione avrà come tema «La fenomenologia dell'amore: eros, philìa, agàpe». «I più qualificati a descrivere la vasta gamma di modalità dell'amore - egli spiega sono i poeti e i narratori. Questa sera mi limiterò a offrire alcune coordinate della vita amorosa, soffermandomi su tre assi: quelli dell'eros (l'amore che ricerca il godimento), della philìa (l'amicizia) e infine dell' ag àpe (l'amore donativo). Sono espressioni dell'amore distinte, ma che nell'esperienza umana concreta si incrociano tra loro».
Non capita in certi casi - domandiamo che si immagini di poterle separare? Celebrando la «superiorità» di un amore che si vorrebbe solo spirituale, totalmente disincarnato, o riducendo l'eros a una pulsione egoistica, per cui l'altro si ridurrebbe a strumento del nostro piacere? «Quando questi casi estremi si verificano - risponde Natoli -, siamo in presenza di forme malate dell'amore. Alla ricchezza, alla generativita originariamente proprie dell'amore subentra allora, in un verso o nell'altro, una stanca ripetitività, che può avere effetti tossici e distruttivi. Per esempio, la ricerca del piacere può diventare ossessiva, innescando una sorta di coazione a ripetere che non procura alcun appagamento. Quanto a un amore che si pretenderebbe disincarnato e totalmente disinteressato, anch'esso può sfociare in una forma di narcisismo, per cui il soggetto - senza chiedere nulla all'altro - contempla la propria presunta "superiorità morale"».
Pure nell'atteggiamento di persone che fanno professione di un amore puramente oblativo, che si dicono disposte a sacrificare tutto per il bene del partner o dei figli, non riscontriamo talvolta una sottile volontà di dominio, di manipolazione dell'altro? «Sì, anche attraverso un'apparente generosità si può assecondare una spinta auto-affermativa. La frase: "Lo faccio per il tuo bene" può risultare equivoca. Io sono davvero certo di sapere quale sia il tuo bene? Abbiamo però un criterio per distinguere un falso amore di benevolenza da uno vero. Nell'autentico amore-agàpe si persegue il bene dell'altro, ma senza sostituirsi a lui: aiutandolo, si è tuttavia capaci di mantenere una distanza, rispettando la sua libertà e la sua autonomia».