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Mercoledì, 21 Giugno 2023 17:11

Dopo il Covid abbiamo bisogno dell'umanesimo dell'altro uomo»

«I morti insepolti rendono tragicomica la preoccupazione per un posto nel cosmo» - Danielle Cohen Levinas «I morti insepolti rendono tragicomica la preoccupazione per un posto nel cosmo» - Danielle Cohen Levinas

Il festival Filosofi lungo l'Oglio ha celebrato l'altra sera due maestri del pensiero, Emmanuel Levinas e Bernhard Casper. A Lograto, il pubblico ha riempito il cortile di villa Morando per ascoltare Danielle Cohen Levinas, nuora del grande filosofo francese e a sua volta filosofa e musicologa autorevole, docente all'Università Paris IV Sorbonne.

«Anche noi in Francia vorremmo avere un evento così bello e importante» ha esordito la studiosa, per la prima volta ospite della manifestazione diretta da Francesca Nodari. Che l'ha accolta con grande emozione, affiancata dal sindaco Gianandrea Telò, e ha ricordato che Cohen Levinas «ha intrattenuto sempre rapporti di amicizia con Bernhard Casper, un altro dei maestri del festival e mio».

Casper, scomparso l'anno scorso, è stato una presenza fissa alla rassegna bresciana. Cohen Levinas ha dedicato a lui il suo intervento, che affrontando il tema guida dell'«osare» ha invitato ad abbracciare con coraggio quell' «umanesimo dell'altro uomo» teorizzato da Emmanuel Levinas. E a farlo in anni di forte ripiegamento: «La crisi del Covid ha fatto sprofondare l'umanità in una situazione senza precedenti, che ha messo tra parentesi le nostre abitudini, i nostri modi di pensare e anche il nostro modo di osare. I lutti, la malattia, l'agonia di un mondo che consideravamo garantito e protetto, ci espongono a un ripiego ontologico che chiude la strada all'apertura all'alterità». Il morire di Covid «era diventato un fenomeno desacralizzato e disumanizzato. La finitezza dell'uomo è stata sottoposta alla tirannide delle statistiche e per molti di questi numeri la sepoltura è stata impossibile perché rappresentava un pericolo per i vivi».

Ne consegue una «grave domanda»: «Dove va l'umanità dell'uomo, a fronte di questo ripiegamento nei confronti dell'altro? Le nostre categorie di civiltà rischiano di patirne, c'è motivo di temere che dopo la pandemia questi valori non ritroveranno mai più lo stesso posto».

Di fronte al rischio dell'affermarsi subdolo di un «disumanesimo», il richiamo è al pensiero di Levinas. Il filosofo, ha ben chiarito la relatrice, non aveva dell'umanesimo una visione idilliaca. Negli scritti degli anni Trenta del '900 esprime «l'idea del sentimento della brutalità dell'esistenza», che si concretizzò per lui nella prigionia in un lager nazista e nel massacro di quasi tutta la sua famiglia.

Osserva Cohen Levinas: «I morti senza sepoltura nelle guerre e nei campi di sterminio accreditano l'idea di una morte senza domani e rendono tragicomica la preoccupazione del sé e la nostra illusione di un posto privilegiato nel cosmo. Di fronte a ciò, né la risposta umanista né quella antiumanista sono soddisfacenti».

Al dibattito del dopoguerra sulla «crisi» dell'umanesimo classico nel quale risuonano le voci di Heidegger, Sartre, Foucault Danielle Cohen Levinas ha dedicato un'ampia, e non semplice, illustrazione. Invitando plu volte a tare «un passo di lato» per ascoltare le parole di Levinas, capace di indicare una via per superare la prova della persecuzione attraverso l'audacia del pensiero.

Già nel 1935, in un testo intitolato «Dell'evasione», il filosofo riflette sulla necessità di evadere dall'illusione di autosufficienza dell'io per muovere verso l'altro: «Il suo umanesimo dell'altro uomo è agli antipodi dell'umanesimo classico e moderno perché ci esorta ad osare», ad uscire da sé per aprirsi all'incontro. Di fronte alla crisi dell'Europa (di ieri e di oggi), questa appare una prospettiva di speranza: l'idea che «la struttura della soggettività non consista nella paura, nel senso di minaccia, ma sia immediatamente etica, ossia indicata dal significato dell'altro e di conseguenza destinata a rispondergli».



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