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Giovedì, 24 Febbraio 2011 05:34

Sergio Givone: «Da ragazzo volevo fare lo scrittore»

Il filosofo alla presentazione del libro-intervista di Francesca Nodari in cui si racconta. È l’autobiografia «di uno che non ha nessuna biografia» quella che Sergio Givone dichiara di aver consegnato a Francesca Nodari con il libro-intervista «Il bene di vivere», edito da Morcelliana, che è stato presentato ieri alla Libreria dell’Università Cattolica, in città, su iniziativa della Cooperativa cattolico-democratica di cultura. Givone è uno dei maggiori filosofi italiani, docente di estetica all’Università di Firenze. Nella storia di un pensatore, ha spiegato, le vicende quotidiane «non sono niente rispetto all’incontro con un libro. Volevo mostrare come abbia valore di verità e senso per ciascuno di noi il rapporto con la realtà sfuggente dèlla cultura».

Il suo incontro con il pensiero è stato dei più intensi: l’ha ripercorso ieri conversando con Ilario Bertoletti, direttore editoriale della Morcelliana, e con la curatrice Francesca Nodari. «Nel 1963 avevo 18 anni, venivo da una cascina nella provincia di Vercelli. Finito il liceo, all’università di Torino incontrai Norberto Bobbio, Nicola Abbagnano, Pietro Chiodi, Luigi Pareyson e i suoi giovani assistenti, tra i quali Eco e Vattimo. Si respirava la forza di quelle intelligenze. Un’energia venata di understatement tipicamente torinese, ma sospinta dalla passione per le idee. Nelle aule si passava dall’idealismo tedesco studiato da Pareyson alla fenomenologia di Mike Bongiorno proposta da Eco: era un gioco filosofico, nel quale sembrava che ognuno di noi fosse chiamato a dire la sua, e che alle nostre idee fosse legata la direzione che il mondo avrebbe preso. Oggi questo può far ridere, ma noi credevamo che fosse in gioco qualcosa di molto importante».

L’autobiografia intellettuale di Givone diventa così, lo ha osservato Bertoletti, «una storia della filosofia italiana del secondo ’900»; ed è anche un’intensa riflessione sui temi che il filosofo ha approfondito nelle sue opere: «Il male, il tragico, il bene e la sua possibilità. La sua “Storia dei nulla” ha rappresentato uno spartiacque nella riflessione sul nichilismo».

In questo percorso, Givone è stato accompagnato da autori ai quali continuamente ritorna. Tra i favoriti Pascal – oggetto della tesi di laurea – e Dostoevskij, sul quale Givone è tornato anche in serata, nella sala Bevilacqua dei Padri della Pace, commentando la «Leggenda del Grande Inquisitore» dai «Fratelli Karamazov»: il testo è stato letto da Luciano Bertoli accompagnato dal chitarrista Alessandro Bono. «Un filosofo – diceva Pareyson – è come una vita che morde nel legno: pensa sempre e soltanto alla stessa cosa. Pascal e Dostoevskij sono stati le mie “viti”. Il Cristo silenzioso raccontato nella “Leggenda” è per me la chiave di tutto: il bene e il male dice Dostoevskij, non sono se non in forza della libertà. Responsabilità e libertà sono un tutt'uno: è l’uomo che deve decidere cosa è bene e cosa è male, avendo come guida il volto di Cristo».

Dalla fine degli anni Novanta, Givone si dedica anche alla narrativa. Ha pubblicato tre romanzi, l’ultimo dei quali «Non c’è più tempo» (Einaudi), affronta il tema del terrorismo. «Per me esso non deriva dal fanatismo: i terroristi in realtà uccidono in nome di una fede che hanno perduto. Sul rapporto tra violenza e nulla il filosofo può ragionare, ma non può raccontare come davvero sono andate le cose. Può farlo lo scrittore, un impudente che crea gli oggetti della riflessione».

La confessione che conclude il libro è meno ragionata, ma altrettanto vera: «Da ragazzo volevo fare lo scrittore, non il filosofo».

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