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Sabato, 23 Aprile 2022 04:01

«La provocazione di Lévinas per una società chiusa nell'egoismo»

la filosofa Francesca Nodari la filosofa Francesca Nodari

«La condizione del tempo sta nel rapporto fra esseri umani o nella storia». Lo affermava Emmanuel Lévinas (Kaunas, 1906 Parigi, 1995), tra i più importanti ed influenti pensatori del Novecento, il quale rilevava anche che «la solitudine dell'io si caratterizza come assenza di tempo in una sorta di eterno presente».

Una riflessione serrata sul concetto di temporalità, sui temi dell'essere e sulla natura dialettico-ontologica dell'esistere, che certamente rappresenta il nucleo fondante della maturità teoretica del filosofo francese e che appare centrale nelle quattro conferenze tenute da Levinas nel 1946 - 1947, durante il primo anno della sua attività al Collège philosophique fondato da Jean Wahl.

Testi che sono ospitati nel volume «Il Tempo e l'Altro» (edizioni Mimesis, 12 euro), che sarà in libreria da giovedì 28 aprile, con postfazione della studiosa bresciana Francesca Nodari, con la quale abbiamo dialogato.

Questo saggio rappresenta un inedito in Italia?

Sí tratta di lavori che risalgono all’immediato dopoguerra e che sono stati pubblicati con l’ottima traduzione di Francesco Paolo Ciglia dal Melangolo oltre vent’anni fa. È stato per me un onore accogliere la richiesta dell’editore di occuparmi di questa nuova edizione de Il Tempo e l’Altro che si avvale della stessa traduzione di Ciglia, ma che è accompagnata da una prefazione che cerca di far emergere, in un corpo a corpo con i testi di Levinas, in particolare con le opere inedite, quanto la nozione di temporalità e alteritá siano cruciali per il pensiero levinasiano e per il nostro presente. Come dire: è un saggio di grande contemporaneità.

Lei parla di «attualità stringente», delle riflessioni levinasiane che acquisiscono una forza ancora maggiore se lette tenendo conto della pubblicazione delle opere inedite avvenuta a partire, dal novembre 2009, a Parigi...

Il riferimento è in particolate ai «Carnets de captivité», una sorta di officina filosofica del grande filosofo ebreo lituano: sette quaderni scritti a mo' di frammenti e di appunti nei cinque interminabili anni di prigionia (fu internato dopo l'invasione tedesca della Francia, nel 1940, ndr), nei quali l'autore riesce a mettere a fuoco gli elementi chiave della sua rifiessione, in condizioni drammatiche quando la Convenzione di Ginevra aveva ormai perso ogni autorevolezza e i prigionieri erano sottoposti ad ogni sorta di privazione, mentre centinaia di fratelli israeliti andavano a morte. Il sottufficiale di riserva francese Levinas, per l'uniforme che indossava, non ebbe lo stesso atroce destino, benché nell'inferno di quello Stalag 1492 fosse stato sottoposto ad ogni sorta di infamia come egli stesso scrive.

Qual è la tesi principale del libro?

Lévinas stesso la rinviene nel pensare il tempo non come una degradazione dell'eternità, ma come relazione con ciò che, di per sé inammissibile, assolutamente altro, non si lascerebbe assimilare dall'esperienza, o con ciò che, di per sé infinito, non si lascerebbe comprendere. Relazione con l'Invisibile dove l'invisibilità risulta non dall'incapacità della conoscenza umana, ma dalla sua dalla inadeguazione all'Infinito.

C'è anche un'analisi molto profonda intorno alla solitudine...

Per Lévinas, la solitudine non è una privazione della relazione con altri, data preliminarmente. È, piuttosto, la stessa unità dell'esistente, il fatto che c'è qualcosa nell'esistere a partire da cui si fa l'esistenza. Il soggetto è solo perché è uno. È necessario che ci sia una solitudine perché si dia la libertà del cominciamento, il dominio dell'esistente sull'esistere, cioè, in definitiva, perché ci sia l'esistente. La solitudine non è dunque soltanto disperazione e abbandono, ma anche virilità e fierezza e sovranità.



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