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Domenica, 06 Marzo 2022 01:50

SIATE SEMPRE FEDELI ALLE RAGIONI DEL CUORE

Antigone Antigone

Cosa dice Antigone alla coscienza etica di ciascuno di noi? In che senso si può parlare di una sorprendente attualità di Antigone, che è «l'immagine più misteriosa e affascinante della storia della letteratura greca»? Sono questi, soltanto, alcuni dei cruciali interrogativi cui cerca di rispondere Eugenio Borgna nel libro Sofocle, Antigone e la sua follia. Borgna avvia le sue considerazioni svelando di essersi immerso, sin dai tempi del liceo, nella lettura di questo grande classico e, non a caso, termina la sua indagine insistendo sulla necessità di leggere e rileggere un testo che ha attraversato i secoli e che si fa ancora interrogante e, insieme, portatore di significati sempre altri.

L'originalità e la preziosità di questo volume, che è accompagnato dalla eccellente traduzione di Raffaele Cantarella, sta nel metodo più volte precisato da Borgna: mettendo tre parentesi gli elementi filologici, storici, filosofici, Borgna si avvale della fenomenologia descrittiva proprio per cercare di portare a datità ciò che, fino ad oggi, è rimasto in certo senso inesplorato, ovvero l'indagine di quell'ardpelago di emozioni che attraversano la tragedia sofoclea insieme all'inanellarsi di questioni di prim'ordine: il tema della parola e del silenzio, della solitudine e del dialogo, del femminile e del maschile, dell'amore fraterno e della passione, della morte e del suicidio in Antigone come anche in Simone Weil che ha scritto considerazioni strazianti: «Nel supplizio della croce c'è qualcosa di analogo a quello inflitto ad Antigone, murata viva ... Non si uccide, si mette il condannato in una situazione che comporta necessariamente la morte».

Senza dimenticare il conflitto tra le leggi dello stato e quelle della coscienza. Elemento quest'ultimo di grande importanza e che risuona in ogni momento della tragedia. Di qui il disvelarsi delle emozioni come «categorie rivelatrici di senso». Ne bastino alcune che emergono dalla lettura: l'angoscia e la paura, la tristezza e la nostalgia, lo smarrimento e l'estraneità, la delicatezza e la mitezza, la nostalgia e il dolore, la speranza e la disperazione, ma anche la crudeltà e la violenza.

E se, per un verso, muovendo dalle emozioni e dalla loro fenomenologia la psichiatria può calarsi «negli abissi dell'interiorità non solo delle pazienti e dei pazienti, ma anche di queste grandi figure letterarie», dall'altro, è proprio conferendo alle parole il peso che meritano che esse acquisiscono o si riappropriano del loro senso profondo. Sì, quelle «creature viventi ... che sono divorate dalla fretta e dall'indifferenza, dalla distrazione e dalla noncuranza», che possono distinguersi in femminili come quelle che germogliano dolorose e scintillanti dal cuore di Antigone e in maschili come quelle di Creonte, che trasudano di aggressività e di brutale freddezza. Parole che ancora oggi feriscono e lacerano. Guai, tuttavia, a generalizzare: basti pensare alle parole di Emone che risuonano di gentilezza e di tenerezza.

Guadare ad Antigone «come a una tragedia nella quale si rispecchiano le grandi emozioni della vita», consente all'Autore di mostrare in che senso si possa parlare della follia femminile di Antigone come di una condizione di vita permeata dalla paura e dalla tragicità, dalla delicatezza e dall'armonia, dalle speranze ferite fino a quell'angoscia finale per una condanna che non sarebbe stata consentita, come rimprovererà Tiresia a Creonte, neppure agli clei e a causa della quale gli sarà negata la morte dovendo scontare invita le immense sciagure provocate.

Ma attenzione, in Antigone non v'è nulla «della follia autistica nella quale la ragione è sradicata dai contesti emozionali». La sua è una «follia umana e gentile» che scaturisce da un gesto, apparentemente, senza senso: dare sepoltura al corpo dilaniato di Polinice violando le leggi della città perché inumane, proprio come spietate erano quelle leggi che hanno contrassegnato gli anni dell'orrore del nazionalsocialismo mandando a morte gli ebrei perché ebrei.

Ecco, allora, che la disobbedienza si erge a istanza morale come avvenne per Bonhoeffer e per i giovani studenti della Rosa Bianca, come accadde per Antigone, che deve la sua follia, parafrasando Sofocle, forse, ad un folle, e che si comporta come «chi con gli artigli d'aquila - scrive Nietzsche in Così parlò Zarathustra - aggraffia il baratro». Antigone ha coraggio, mostra fierezza. Come Rilke, crede che resistere sia tutto nella vita. Tra la «vagante speranza» di cui narra il coro in lacrime e la «gioia perduta» cui si rifà il messaggero prima di annunciare ad Euridice cosa sia avvenuto nella tomba, Antigone resta quell'«anima di luce», «una voce - scrive Zambrano - che si leva sempre di nuovo», e che, «nella incandescenza (anche) etica della sua immagine simbolica e metaforica», «allarga vertiginosamente i confini di conoscenza e di esperienza della vita psichica che è in noi». Fedele, fino alla morte, alle ragioni del cuore.



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