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CORPO

«Mi ripiegai allora su me stesso: “Tu, che cosa sei?”, chiesi. E mi risposi: “Un uomo”. Ecco: un corpo e un’anima sono pronti in me al mio cenno; uno appartiene al mondo esteriore, l’altra al mio interno. Con quale dei due dovevo cercare il mio Dio? Per mezzo del corpo l’avevo cercato dalla terra al cielo, fn là dove avevo potuto spingere indagatori i raggi dei miei occhi. Meglio dunque chiederlo al mio interno. A questa parte convengono tutti i messaggeri del corpo, come ad un capo e a un giudice di tutte le risposte del cielo, della terra e di tutto quanto esi racchiudono, e che ripetono: “Non siamo noi, il Signore”; e: “Egli è il nostro creatore”. L’uomo interiore ne ha conoscenza per mezzo dell’esteriore: l’ho conosciuto io, uomo interiore, io, anima, attraverso i sensi del corpo»

Agostino, Le confessioni

«Il corpo è una grande ragione, una pluralità con un solo senso, una guerra e una pace, un gregge e un pastore. Strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami ‘spirito’, un piccolo strumento e un giocattolo della tua grande ragione. ‘Io’ dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non vuoi credere, - il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non dice ‘io’, ma fa ‘io’ […] Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto – che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo».

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra

A vegliare sul valore scientifco delle serate è stato uffcialmente costituito un comitato d’onore così composto: da Bernhard Casper a Salvatore Natoli – padrino del Festival, al quale, tra l’altro, è stata con- ferita la cittadinanza onoraria del Comune di Villachiara in data 10 luglio 2009 – da Maria Rita Parsi ad Aldo Magris, da Adriano Fabris ad Amos Luz- zatto, fno a Ilario Bertoletti. Accanto ai Comuni già teatro delle precedenti edizioni: Villachiara, Pom- piano, Soncino, Padernello (Fondazione Nimphe), spicca l’ingresso signifcativo della città di Brescia e dei Comuni di Orzivecchi, Ostiano, Chiari (Fon- dazione Morcelli Repossi), con il felice ritorno nel nostro circuito flosofco di Orzinuovi.

Dopo le Stagioni della vita, Geografa delle passioni, Vizi e virtù e Destino, è stato Corpo il tema intorno al quale è ruotata – nelle sue declinazioni plurivoche – questa quinta seguitissima edizione, che ha registrato una media di 400 spettatori ad in- contro – con punte di oltre 600 persone – e una fre- quenza, durante i 40 giorni del Festival, di 600/700 visitatori sul nostro sito www.flosoflungologlio.it – con picchi di 1200 – per un totale di oltre 40.000 visite.

Tra piazze, castelli, cascine, flande, sinagoghe è stato il pensiero stesso a farsi itinerante seguendo, idealmente, il percorso del Fiume Oglio, quasi si trattasse di un vegliardo depositario di antiche tra- dizioni che nel ricordarci l’appartenenza alle nostre origini – una evocazione che si fa materia nella terra che esso stesso attraversa, separa, unisce, alimenta nelle opere e nei giorni di chi la coltiva – ci chiedesse di fare memoria di quella fatica di cui è testimone, tramutandola nella fatica del pensiero. Fatica non meno ardua, ma che nella complessità del mondo in cui abitiamo sembra quasi un dovere, una sfda da raccogliere. Da condividere. Da sostenere. E così, 9 ogni anno, dinnanzi al Vegliardo si recano, illustri pensatori attorno ai quali fanno cerchio uomini e donne di buona volontà, capaci di decidersi nel dare senso al loro tempo libero, sempre più ridotto da impegni professionali e familiari, ma non per questo insuffciente per prestare ascolto e ricorrere alla propria capacità critica nella partecipazione attiva alle lezioni, di volta in volta, in calendario.

Si ha fame di contenuti, si avverte la necessità di incamminarsi alla ricerca del Maestro. Si esprime – per entrare già nel vivo del tema – un bisogno che connota la nostra stessa umanità e che non si accon- tenta di essere anestetizzato da proposte e format perlopiù seriali, asettici, in-differenti. Surrogati che di umano hanno ben poco. Esseri senza volto, in una giostra di carni danzanti che non si parlano e si accontentano di apparire dis-perdendosi in uno nessuno centomila.

Con l’umiltà che connota da sempre la flosofa il tentativo è proprio quello di moltiplicare gli interrogativi, richiamando il soggetto dis-orientato della nostra contemporaneità dal torpore in cui rischia di rimanere se non prende a sostare su domande che mettono capo a nodi da sciogliere, diffcoltà da affrontare e da chiarire pur uscire platonicamente da quella caverna che offre solo ombre.

Che cos’è, dunque, corpo? L’impressione che subito sorge nel ripercorrere mentalmente questi incontri, il cui resoconto scritto è il contenuto delle dense pagine che seguono e che riportano fedelmente quanto ciascun flosofo ha esposto nel corso del proprio intervento, è il darsi, in tempo reale, di 10 una mappatura sul corpo – che essa stessa prende concretamente forma in questo libro –, nel dipanarsi delle rifessioni dei nostri illustri ospiti della cui fase del loro pensiero ci offrono il valore aggiunto della presa diretta. Come dire: dalla fenomenologia del corpo indagato secondo prospettive diverse alla fenomenologia dei modelli e dei movimenti interpretativi propri di ciascun autore, con il duplice venire alla luce, da un lato, delle categorie attraverso le quali si declina il tema in esame, dall’altro di strutture di pensiero che, a seconda della peculiare andatura che le connota, pervengono alla cosa stessa con esiti distinti e plurali. Forte spessore teoretico, grande capacità comunicativa e di coinvolgimento sono le peculiarità che connotano i nostri pensatori, insieme capaci di donarci, con una chiarezza cristallina, la risposta al tode tì che, in questo caso, riguarda il corpo.

Corpo mortale/corpo immortale, corpo carne/ corpo proprio, corpo sano/corpo malato, corpo gettato/corpo salvato, corpo umano/corpo mac- china, corpo morto o quasi e corpo nella sua diffe- renziazione di genere. Sono questi, soltanto, alcuni dei binomi sui quali si gioca la nostra comprensione su ciò che abitiamo e che costituisce, se così si può dire, la base della nostra soggettività. Di quale corpo si tratta, allora? Siamo ancora fgli del dualismo cartesiano res cogitans/res extensa, o forse occorre intendersi meglio sulle parole enigmatiche di Zara- thustra che concluse: «Io sono tutto corpo e nulla fuori di questo»? Se per Bernhard Casper – uno dei massimi flosof della religione viventi e professore 11 emerito all’Università di Freiburg i.B. – il nostro «io sono» corporeo si coglie nell’aver bisogno dell’altro o, il che è lo stesso, nel prendere sul serio il tempo che eviene – singolare peripezia dell’essere – tra l’altro e me cogliendo nell’incarnation del sé posto all’ac- cusativo lévinassiano l’unità psicofsica (Leib) di un soggetto di carne e di sangue che nella sua passività – che è insieme bisognosità, patire, pazienza – si fa ostaggio-con-il-proprio-corpo-per-l’altro (Leib- Bürge) per Jean-Luc Nancy – professore emerito di Filosofa presso l’Università di Strasburgo, defnito da Jacques Derrida: «il più grande pensatore sul tatto di tutti i tempi» – il corpo sarebbe da cogliere, andando al di là del fanco-a-fanco heideggeiano, dell’«io e tu» di Buber e del «volto dell’altro» di Lévinas, nella sua pre-senza – che è nel suo andi- rivieni esposizione e insieme un costante approssi- marsi – e nella messinscena: il corpo è ciò che viene e il teatro il luogo dell’avvicinarsi. Di qui una sin- golare rivisitazione delle tre unità di luogo tempo e azione. Tempo del passaggio, dell’insonnia, della ri-presentazione nel proscenio, che è il luogo in cui appaiono e scompaiono i corpi nella loro azione, che è, a sua volta, il «dramma» di una partizione di senso.

Se per Rav Laras – già Presidente dell’Assem- blea dei Rabbini Italiani e Presidente del Tribunale Rabbinico dell’Alta Italia e della Fondazione Maimonide di Milano – nell’Ebraismo non si dà dam- natio corporis o mortifcatio carnis – emblematico l’exemplum del Nazìreo che deve fare espiazione al termine della sua astensione forzata dal vino, dai contatti impuri con i morti e dal radersi la barba e i capelli – la fsicità è colta positivamente – eccezion fatta per alcune esperienze storico-religiose legate, ad esempio, al movimento degli Esseni o dei Tera- peuti –, basti pensare al Cantico dei Cantici, meta- fora dell’amore tra Dio e il popolo d’Isreaele, ove ricorrono immagini che rinviano alla fsicità e alle parti anatomiche dei corpi, per non dire delle com- moventi parole di Rabbì Elazar che, interrogato da Rabbì Jochanan sul perché piangesse, risponde: «per questa bellezza che si consumerà nella polvere» ; per Maria Rita Parsi – psicoterapeuta, scrittrice e Presidente della Fondazione Movimento Bambino – i corpi delle donne sono forme che formano la vita, luoghi edenici che scatenano, da un lato l’in- vidia del grembo e il desiderio maschile di «re-infe- tarsi», dall’altro la prima angoscia dell’uomo: vivere la nascita come il primo di una serie di distacchi che segnano le nostre esistenze. Di qui il richiamo al Matriarcato come un iniziare dalle madri, la distinzione tra nascere maschi e nascere femmine, la denuncia di torti e violenze subite, nel corso della storia, dalle donne a partire da un’analfabetizzazione coatta all’orrore dell’infbulazione praticata attualmente su 150 milioni di ragazze e bambine nel mondo, per arrivare a suggerire un’alleanza tra 4. Cfr. infra, p. 107.13 uomini e donne in vista di una «visione bambino- centrica» della società. Una visione che trova la sua premessa imprescindibile nell’«addomesticamento del corpo, della mente, del cuore».

Proseguendo nella nostra indagine sul corpo in- contriamo il contributo di Adriano Fabris – ordi- nario di Filosofa morale all’Università di Pisa dove insegna anche Filosofa della religione ed Etica della comunicazione – che si sofferma sul rapporto tra integrazione e/o interazione tra il corpo umano e le macchine, mostrando come l’utilizzo delle nuove tecnologie (dal telefonino all’i-phone fno al cristal- lino e al by pass che si fanno carne nel soggetto) porti ad una triplice considerazione: l’autonomia della tecnica rispetto alla scienza; la commistione indifferente e indifferenziata tra naturale – ciò che esiste per sé – e artifciale – ciò che viene modif- cato dall’intervento umano; il circolo vizioso che si instaura tra possibilità e potere: non tutto ciò che è tecnicamente possibile, è eticamente giustifcato. Di qui la percezione di un corpo sempre più ma- nipolato e manipolabile – piercing, tatuaggi, body building fno alla realizzazione di progetti quali, ad esempio, esperimenti che mirano a far sì che il cervello biologico sia parte di un dispositivo robo- tico – al punto di poter parlare di una mutazione antropologica nell’uso delle nuove tecnologie. Di qui, ancora, l’irrompere dell’etica, «che riguarda la defnizione dei criteri delle nostre azioni e le motivazioni che c’inducono ad applicarli nel concreto» e che non va confusa con la deontologia e i vari gradi di responsabilità (diretta-indiretta, di pro- grammazione, di costruzione e di uso) che l’uomo, in quanto soggetto morale, non può scaricare sulle macchine. Cosa fare dinnanzi all’intrusione dell’ar- tifciale? «Si deve passare dal rispondere di qualcosa alla consapevolezza che bisogna rispondere a prin- cipi che ciascuno considera punti di orientamento e condizione delle scelte della propria vita»

Sul vicendevole compenetrarsi di corporeità- soggettività-relazione, ha incentrato la sua lectio magistralis Salvatore Natoli – ordinario di Filosofa teoretica all’Università Bicocca di Milano e consi- derato, per la sua originalissima trilogia sul mondo, il flosofo dello stare al mondo. Sentirsi corpo signi- fca sentirsi nello spazio e in relazione con corpi impenetrabili. Noi siamo corpo e coscienza del nostro corpo: l’io – che è la percezione di sé in atto, il mio – è l’apertura sul mondo, che è il corpo in azione. In quanto corpo e mente il soggetto è un sistema vivente capace di scambiare con l’ambiente in una implementazione delle prestazioni corporee che ci fa dire con Anassagora che l’uomo è intelligente perché ha le mani. Richiamando Spinoza secondo cui la mente è idea corporis, Natoli afferma che «l’oggetto dell’idea costituente della mente umana è il corpo, ossia un modo esistente in atto dell’estensione, e non altro. Quindi la mente è l’idea del corpo come cosa in atto, ma il corpo come cosa in atto non è altro che l’estensione dello spazio che occupiamo. Siamo situati nel mondo, allocati nel mondo: aperta la nostra mente nello spazio, ma da un punto di vista che è fnito, che è determinato. Il corpo, per un verso, è un’apertura nel mondo, per un altro, è un radicamento singolare, parziale nel mondo: è l’esperienza della nostra fnitezza»

L’uomo, a diffe- renza degli altri organismi viventi, ha una sapienza particolare: sa di morire. Proprio per questo deve dare misura alla propria vita – che non è altro che il gioco delle relazioni: il corpo, in quanto azione, è relazione col mondo e con gli altri. Avere compe- tenza della propria corporeità signifca sviluppare la capacità di instaurare relazioni feconde. Signifca volgersi all’alterità poiché la nostra naturale insuff- cienza può trovare la sua suffcienza, soltanto, nello scambio. Torna il grande tema della bisognosità, magistralmente esposto da Casper, che, nella sua ultima signifcazione – passando attraverso la frui- zione e il godimento – consiste, appunto, nel bisogno dell’altro in quanto altro. Come rimarca Natoli, pen- sarsi in termini di autosuffcienza sarebbe un puro delirio di onnipotenza, un misconoscimento della nostra fnitezza. In proposito, Natoli parla di una seconda generazione: non generare dalla carne, ma accogliere nella cura. È la misericordia, il gemito delle viscere – i rahamim – del soggetto incarnato di cui parla Lévinas e al quale si rifà Casper quando si interroga sul senso ultimo del nostro «io sono» corporeo. Farsi-con-il-proprio-corpo-ostaggio-per- l’altro è, in ultima analisi, pensare umanamente i nostri rapporti interumani. È divenire fecondi.

Sulla complessità del corpo umano, diverso dagli altri esseri viventi, torna Amos Luzzatto – medico, scienziato e biblista, già Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Presidente della Comunità Ebraica di Venezia – richiamando un ce- lebre passo midhrashico secondo il quale l’uomo avrebbe alcune caratteristiche che lo rendono si- mile agli animali e altre agli angeli del servizio: «Dio gli creò quattro nature dall’alto e quattro dal basso: quelle ‘dal basso’ sono: egli mangia e beve come fanno gli animali, procrea come fanno gli animali, defeca come gli animali e muore come gli animali; e quattro nature dall’alto: sta in piedi come gli an- geli del servizio, parla come gli angeli del servizio, possiede conoscenza come gli angeli del servizio e vede come gli angeli del servizio» (Bereshit Rabbà 8, 11, cfr. anche TB Chagigà 16 a)

Altrettanto importante il richiamo dei tre fattori che concor- rono alla formazione dell’essere vivente: il padre, la madre, il Signore Iddio. Luzzatto, inoltre, facendo notare l’apprezzamento della materialità nella tradizione ebraica rifacendosi tanto al Cantico dei Cantici – «se il corpo vivente in tutte le sue funzioni e manifestazioni è un’opera divina, dobbiamo ammettere con R. Aquiva, che questo libretto sia ‘il Santo dei Santi’» – quanto alle benedizioni di ringraziamento per ciò che gratifca i sensi, non si esime dal sottolineare come il corpo morto sia con- siderato il massimo dell’impurità e per questo si ritiene che la salma debba essere seppellita il più presto possibile. Interessante il tentativo di spie- gare, dopo la seconda distruzione del Santuario di Gerusalemme, il passaggio dal culto sacrifcale al culto di preghiera. La scomparsa del Santuario – vissuta dal popolo ebraico come un lutto per l’im- possibilità di esprimersi con la totalità del proprio essere – unitamente al nodo della diaspora avreb- bero impedito quella possibilità di residenza stabile legata alla pratica dell’agricoltura e che è alla base di un certo rapporto con la propria corporeità stret- tamente legata alla materialità e alla terra, ma il cui «recupero (è) giudicato possibile soltanto in quella Terra, con il suo signifcato, con la sua storia» . Come per il messianismo è necessaria una prepara- zione nel presente, così per quanto concerne il San- tuario la preparazione, suggerisce Luzzatto, risiede nel ritorno ad una corporeità piena che celebra le primizie dell’agricoltura proprio come avviene in una cerimonia-ricordo praticata a Gerusalemme già negli anni ’30.

Dal canto suo, Massimo Donà – ordinario di Filosofa teoretica presso la Facoltà di Filosofa dell’Università Vita-Salute del San Raffaele di Mi- lano – ci propone un’originale lettura del corpo nel cinema a partire da un interrogativo cruciale: si può parlare di corpo immortale? Il corpo, in quanto esserci visibile dell’anima, non può imitare l’anima poiché nulla di temporale può imitare ciò che, per defnizione, è a-temporale. Nel denunciare la defagrazione del corpo soggettivo, il cinema è un corpo del sentire, un sentire che non è né ogget- tivo né soggettivo: «la sua ‘cosa’ è il sentire stesso, quale unica vera parte in causa. Un sentire che at- tende un soggetto; ma che mai lo troverà. Il suo è infatti il tempo della perfetta inesperibilità; nessun soggetto cronologicamente determinato e teleolo- gicamente orientato, carico di passato e gravido di futuro, potrà mai accontentarsi dell’impersonale godimento di un corpo macchina destinalmente privo d’anima individuale […] Il cinema consente i più improbabili rovesciamenti; perché sulla sua superfcie fantasmatica le normali strutture oppo- sitive e categoriali entrano in corti circuiti senza via d’uscita. Nel suo sogno «il tutto possibile» si rivela da ultimo in un vero e proprio «nulla è più possibile di ciò che invero ci riguarda» . Di più, se per un verso al cinema il corpo è un sentire che si realizza nell’istante, è sensazione priva d’oggetto, è pura dissolvenza, dunque corpo resuscitato dalla pro- pria pesante massa oggettuale e, in tal senso, una sorta di platonismo rivisto e corretto perché la pura idealità del corpo cinematografco non serba nulla di eterno, ma una perfetta materialità che costitu- isce, soltanto, una pura illusione di infnitudine; dall’altro, il corpo cinematografco, che è un corpo sofferente che ci ferisce senza toccarci e «soffre» per delega, offrendoci un dolore anestetizzato, è come il corpo risorto che non si dà a vedere e che è sal- vato nel ricordo. Ma questo signifca dare corpo alle ombre che animano le nostre esistenze: «Il cinema scombina ogni inconsistente dualismo; il cinema fa risorgere i corpi morti proiettati sul fondo della ca- verna – riconsegna loro una vita che non patisce la mancanza di verità eterna, ma rende sensibile l’ori- ginaria mutevolezza dell’immutabile – o, che è lo stesso, l’autentica immutabilità del diveniente» . Nella sua meccanica registrazione il cinema intro- duce l’eterno nel tempo, le cui coordinate si chia- mano differenza e ripetizione.

Questa mappatura sul corpo si conclude con l’in- tervento di Paolo Becchi – ordinario di Filosofa del diritto all’Università di Genova – che con i suoi importanti contributi ha riportato al centro del di- battito bioetico contemporaneo l’interrogativo sulla defnizione di morte cerebrale. Becchi, rifacendosi al Rapporto di Harvard – che dichiara morti tutti quei pazienti che si trovano in coma irreversibile –, muove due obiezioni circa l’equivalenza tra morte cerebrale e morte dell’organismo e tra morte cerebrale e per- dita di tutte le funzioni dell’organismo. La sua è una sottile e penetrante rifessione che sosta sul labile confne tra corpo morto o quasi morto. Il dilemma sta tutto in quel quasi, soglia tra morte e vita, giorno e notte, zona grigia o limbo disperato determinato dalla separazione tra vita personale o biografca e vita biologica. Richiamando le illuminanti parole di Hans Jonas, che vide in quella defnizione di morte cerebrale una «reincarnazione del dualismo carte- siano» non più nei termini di anima e corpo, ma di corpo e cervello, Becchi si chiede – confermando l’imprescindibile unità psicofsica dell’uomo (Leib) – se non si stia ritornando al Körper, ovvero a pen- sare il corpo umano come un conglomerato di parti separate, con l’esito paradossale che: «se da una parte bisogna tenere artifcialmente in vita delle per- sone per cui non c’è più niente da fare con l’unico scopo di espiantare loro gli organi, dall’altra bisogna dichiararle morte affnché il prelievo non venga con- siderato alla stregua di un omicidio»15 . Ciò che è in gioco è la dignità delle persone e il dramma irrisolto che abita quel «quasi morto».

Al lettore, ora, il compito di confrontarsi con le caleidoscopiche letture che i relatori hanno pro- posto con passione e alto rigore scientifco. Piste di ricerca, svariati spunti di rifessione, provocazioni che tradiscono una sorprendente sapienza del corpo, lasciano, ora, il giusto spazio al silenzio che richiede la meditazione.

Prima di congedarci ci sia consentito rinnovare i nostri ringraziamenti al direttore generale della Bcc di Pompiano e Franciacorta, Luigi Mensi, al Pre- sidente Sergio Girelli e all’amico Busetti per aversostenuto con convinzione e determinazione questo Simposio di Pensiero e di Parole, fn dalla prima edizione. Un progetto, in origine per certi versi, onirico che ha saputo prendere corpo e forma. Un grazie, inoltre, agli sponsor che hanno contribuito alla realizzazione, non facile, di questi indimenticabili incontri – all’Industria di Motori Elettrici (IME), alla Libreria Livraga – e agli editori Eugenio e Nicoletta Massetti-Rodella per la tenace condivisione di un progetto nel progetto: la realizzazione di questa Collana dei Filosof, che presenta qui il suo terzo volume. Un grazie ai Comuni e alle Fondazioni ospi- tanti – capaci di fare squadra per una cultura radicata sul territorio – e ancora, un grazie, che viene dal cuore, ai relatori che accettano, di anno in anno, senza alcuna esitazione, il nostro umile e trepidante invito e, infne, un grazie al nostro sensibile pub- blico, che è il diapason, sistole e diastole, di questa Kermesse. Incontro dopo incontro, si è assistito ad un crescendo di attesa, emozione, curiosità. Se ci è consentito usare una metafora, vien da pensare all’atmosfera di festa del Sabato del villaggio «pien di speme e di gioia» o, ancora, alla catena umana de La ginestra di Leopardi, spesso evocata da Salvatore Natoli. Forse tra i vari compiti che spettano alla f- losofa, ve n’è uno che, in questo periodo storico «segnato dalla complessità», sembra spiccare tra gli altri: restituire dignità e capacità critica ai soggetti, volgendo la folla anonima dei molti in una comu- nità di amici. Amici pensanti.

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Informazioni aggiuntive

  • il libro:
    Con saggi di B.Casper, J.-L.Nancy - G.Laras - Maria Rita Parsi - Adriano Fabris - Salvatore Natoli - Amos Luzzatto - Massimo Donà - Paolo Becchi a cura di Francesca Nodari

    Genere:
    Saggistica

    Collana: Filosofi lungo l'Oglio - 3
    Formato: 120x190x20 mm - pp. 280 - copertina semirigida con alette lunghe plastificazione opaca
    Edizione: 2010
    ISBN: 978-88-8486-447-5
    Prezzo: 14,00

Ultima modifica il Mercoledì, 14 Dicembre 2011 05:36
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