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Lunedì, 20 Settembre 2010 18:21

Michela Marzano filosofa che sonda la fortuna della donna-corpo

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La fortuna declinata in quarantatre lezioni magistrali in una polifonia di analisi, riflessioni che non esitano a richiamare l’attenzione di un pubblico disposto a muoversi da una città all’altra, nel triangolo che si disegna tra Carpi Modena e Sassuolo, pur di non perdersi il moltiplicarsi degli interventi tra un frugale cestino di razion sufficiente e gli occhi puntati sulle cartine, che aiutano ad orientarsi in questa densa tre giorni di pensiero e all’orologio, per non giungere in ritardo all’atteso appuntamento. Tra questi non poteva certo mancare quello con Michela Marzano, docente di Filosofia presso il Centre de Recherche Sens, Ethique, Société dell’Université Paris V (René Descartes).

Nata a Roma nel 1970, vive a Parigi dal 1999, dove ha ottenuto a 36 anni l’abilitazione a professoressa universitaria. Marzano, spesso definita “cervello in fuga”, si occupa dello statuto del corpo e della condizione umana nell’epoca contemporanea: ha approfondito in particolare il rapporto tra etica e sessualità e le forme del potere biopolitico nelle organizzazioni aziendali. Inserita dal Nouvel Observateur fra i cinquanta pensatori più influenti di Francia, si è interrogata sulla sorte della donna.

Che cos’è essere uomo? Che cos’è essere donna? In definitiva, cosa significa pensare il corpo e quali difficoltà si incontrano?

«La difficoltà di pensare il corpo – ha esordito la Marzano – risiede nel fatto che, per secoli, è stato svalutato ed è stato considerato come l’elemento negativo per raggiungere la verità e come impedimento da un punto di vista morale. La difficoltà ulteriore – e che mi ha spinto a lavorare su di esso –  è  che in filosofia – eccezion fatta per la fenomenologia – vi sono pochi strumenti, come se il corpo di cui si parla ben poco avesse a che fare con la corporeità, così come la viviamo ogni giorno. Per non dire del diffuso stereotipo in cui la nostra società lo fa rientrare: corpo immagine».

Corpo bulimico o anoressico, da velina o da modella – con il ricorso ripetuto a interventi chirurgici,  palestre,  fitness center– ; corpo, comunque, sottomesso alla sguardo maschile. Quale non-detto nascondono questi corpi femminili?

«Come ho scritto nel mio ultimo libro Sii bella e zitta (Mondadori 2010)– prosegue –  siamo di fronte ad un’emorragia identitaria che ha investito tutto il corpo femminile. Si pensi alla, ormai, famosa precaria, Silvia Avallone, vincitrice del “Campiello Opera Prima” con  Acciaio, che è stata trattata, al momento della consegna del prestigioso premio, come una velina, con apprezzamenti poco raffinati sul suo décolleté. Bene ha fatto Michela Murgia a dissentire e a commentare che “Quando c'è di mezzo una donna, si va sempre a parare sul corpo. Non importa la sua intelligenza, non importa se viene festeggiata, premiata, perché ha scritto un libro importante. Tutto si svilisce, si riduce alla carne”. Come dire: l’unico modo per avere successo è essere belle e silenziose. La parola disturba. Si instaura una sorta di discorso dell’odio che consiste, non tanto nel dare la possibilità all’interlocutrice di turno di controbattere alle argomentazioni di chi le è dinnanzi, ma nell’annullare la donna che prende la parola» .

Cosa fare, dunque, per contrastare questo modello imperante?

«Occorre decostruire – riprende la filosofa – questi meccanismi e fornire strumenti alla donne che hanno, loro malgrado, imparato a tacere. Ridare la possibilità di riappropriarsi della parola, trasformando il discorso in una pacifica arma di lotta. Ma questa battaglia, che è una resistenza culturale, deve essere condotta con gli uomini: non mettendo le une contro gli altri, ma lavorando insieme per impedire che le differenze di genere possano contrastare la loro realizzazione.

Dopo aver richiamato la situazione di inferiorità delle donne che si è perpetrata per secoli, persino, durante la Rivoluzione francese ove –  nonostante la dichiarazione dei principi di libertà, fraternità e uguaglianza – le donne continuavano ad essere emarginate, la pensatrice ha ricordato le conquiste femministe degli anni ’60-’70 e l’attuale situazione degradante in Italia e non solo. Marzano ha invitato le donne a «ripartire da ciò che Jean-Jacques Rousseau scriveva due secoli fa a proposito dell’esistenza, nella donna, di una particolare capacità di “indignazione morale” che sta all’origine della civiltà.

Questa tendenza a biologizzare l’essenza femminile, ad esempio,  spinge molti a colpevolizzare le madri che, per il proprio lavoro, abbandonerebbero i figli. In realtà, non si tratta che dell’ennesimo tentativo di riportare le donne a casa e di metterle a tacere. Occorre lottare per arrivare all’uguaglianza e credo – conclude Marzano – che occasioni di incontro come queste siano di grande aiuto poiché la filosofia, a differenza di altre discipline, ha l’umiltà di non cercare una spiegazione, ma di interrogarsi sul senso della vita per aprire nuove piste di riflessione».

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