Skip to main content
Venerdì, 14 Luglio 2017 20:48

BAHARIER: «SULLA VIA DELLA PUREZZA COL VELO DELLA MEDIAZIONE»

La Casa della Musica di Palazzolo esercita la meravigliosa supplenza dell’Auditorium San Fedele in fase di ristrutturazione. Avreste dovuto vedere questi spostamenti di tante volte, a causa di un tempo furbastro, una comunità appassionata che non si siede, non torna indietro e guadagna subito il nuovo posto per ascoltare la relazione filosofica.

Certo, siamo stati alla Casa della Musica, abbiamo apprezzato questo spazio bello, non perdendo di vista, nel cuore e nella mente, l’Auditorium San Fedele, che allude all’origine fondante di una chiesa, trattiene il passato e conquista il futuro con il fascino del sopra e del sotto, dilatando l’alleanza con la filosofia.

Alla Casa della Musica, dunque, come a San Fedele, la carovana umana e pensosa del Festival dei Filosofi lungo l'Oglio si riconquista e si riaccredita di fronte a sé e agli altri, quale popolo di Francesca Nodari con file mai diradate di pubblico, in uno scenario architettonico e pittorico di estrema suggestione, per la ragione che si somma il qui e il là, San Fedele e la Casa della Musica.

Relatore. Lo studioso ebraico Haim Baharier avrebbe subito visitato il sotterraneo di San Fedele e forse ha cercato di rompere la proibizione a sotterrarsi.

L’altra sera, il morire, lo stare sotto, veniva indicato dallo specialista di ermeneutica biblica come luogo di inaccessibilità. Sotto il pavimento, le pietre parlano dei morti in ascolto per la grazia di un udito proveniente dall’essere toccati. Ma, spiega Baharier, nulla della morte è toccabile essendo impuro, è toccabile dopo un tempo di purificazione, allora risplende il divino, la purezza in quanto tale. Ai curiosi non è concesso di toccare il cadavere, di carezzare le pietre carezzate dal cadavere.

Matematico e analista. Haim Baharier è anche matematico e psicoanalista, allievo di Levinas, di Askenazi, uno che intercetta Albert Einstein e diviene più tardi tra i maggiori studiosi del pensiero ebraico. Uno che vede il ritorno del padre da Auschwitz ed ora ricorda a chi non ricorda o intende confondere i giovani sulla Shoah, ora che la terza generazione ebraica usa il tatuaggio per non cancellare i numeri della vergogna nazista impressa sulle carni dei padri ebrei.

Questo è il toccare in profondità, il segnare dentro lo spessore della carne, a ferire la malignità del nazismo, a dichiarargli la guerra della memoria. Da queste carni non si passa, queste carni martoriate dei nostri grandi fratelli ebrei condannano per sempre la ferocia dei dittatori, capi e popolo.

Haim Baharier tratta in particolare il tema «Toccare, non toccare. Puro e Impuro». Aspetta la ribellione delle donne musulmane, non è possibile velarsi, dice. Porta l’esempio del velo di Rebecca, un velo, non un chador, un servizio di tela per servire da mediazione, per incontrare, intravedere e unirsi al marito Isacco. Oggi, invece, il velo nasconde, proibisce.

Baharier parte dal concetto che nella tradizione ebraica la purezza sia l’uso di una responsabilità, di un’obbedienza alle regole della Bibbia. La matrice dell'impurità è la morte. Il cadavere è impuro, deve essere portato via in fretta. La purezza si riprenderà con il passare del tempo, nell’elaborazione del lutto, nella dimenticanza crescente del contatto con il cadavere. Haim Baharier spiega che toccare e non toccare riporta, letteralmente al puro e l’impuro.

Incamminarsi sulla vita della purezza è fare quello che ha fatto Rebecca con Isacco, usare il velo della mediazione, un velo metaforico. «C'è stato il 1968 - racconta - io ero a Parigi e c’era il mio amico Cohen Bendit. Lui aveva lanciato lo slogan che i puri potevano fare qualsiasi cosa e noi che non la pensavamo come Cohn non potevamo fare niente».

Parla più volte dell’aggettivo pasquale che significa narrare, mettersi in dialogo con l’altro, e se non siamo consapevoli di questa ricchezza chiediamoci come si possa parlare in libertà di puro e impuro. Non poter dialogare, non pensare è impurità. In sostanza che cos’è la capacità di mediare? È l'apprezzamento per l’arte della claudicanza, l’elogio del perfettibile. Nessuno è perfetto, tentiamo tutti di migliorarci, tutti siamo pieni di difetti e questo ci porta all’incontro, a costruire un mondo migliore.

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...