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Martedì, 15 Giugno 2010 15:00

Il destino tra caso e responsabilità

Salvatore Natoli ha presentato il volume con i testi di «Filosofi lungo l’Oglio 2009»
Il terremoto è frutto di fatalità o destino? La devastazione di Haiti è stata evocata più volte durante l’incontro che l’altra sera, alla Rocca San Giorgio di Orzinuovi, ha riproposto i contenuti dell’edizione 2009 di «Filosofi lungo l’Oglio» e introdotto agli incontri della prossima stagione. L’occasione era la presentazione del libro «Destino»: edito dalla Compagnia della Stampa, il volume raccoglie i testi degli interventi dedicati a questo tema che cinque autorevoli relatori (Vito Mancuso, Maria Rita Parsi, Salvatore Natoli, Sergio Givone, Aldo Magris) hanno tenuto l’estate scorsa in diverse località nell’ambito di «Odissea, il Festival della Valle dell’Oglio». Le conferenze - realizzate grazie al contributo della Banca di Credito Cooperativo di Pompiano e Franciacorta - hanno avuto un ampio richiamo: la curatrice Francesca Nodari annuncia che quest’anno gli incontri aumenteranno da cinque a nove. E sarà «il corpo» il tema della quinta edizione.
Come ha osservato Paola Cominotti, assessore alla Cultura del Comune di Orzinuovi, «la domanda sulla comprensione dell’essenza del destino è stata posta in ogni epoca, con diverse risposte». Ad alcune di esse ha rivolto un sintetico sguardo Salvatore Natoli, docente di filosofia teoretica all’Università di Milano Bicocca, rispondendo alle domande postegli nel corso della serata da Ilario Bertoletti, direttore editoriale della Morcelliana. «L’altra faccia del destino - ha esordito Natoli - è il caso. Gli uomini chiamano destino il caso, per dare un senso a ciò che accade. L’uomo, in condizione di minorità rispetto agli eventi, per dominarli immagina che qualcosa li regoli».
Nella Grecia arcaica, la dimensione del destino non è declinata al futuro: «È il peso del passato a condizionare il futuro. Siamo sempre predeterminati da ciò che è avvenuto prima». Un esempio classico è la vicenda di Edipo. «Quando Edipo chiede all’oracolo chi siano i suoi genitori, l’oracolo non risponde: dice invece che Edipo ucciderà il proprio padre. Perché Edipo accetta una risposta non pertinente? Perché non voleva davvero sapere di sé. Col proprio destino si può giocare, ma non si diventa padroni di esso cercando di sfuggirgli». «Il carattere per l’uomo è il proprio destino» sentenzia Eraclito. E per gli eroi omerici, spiega nel libro Aldo Magris, «Il destino non è un meccanismo esterno che li schiaccia, una necessità irresistibile, bensì risiede nel loro intimo, è ciò che essi sono e hanno scelto di essere».
Nella dimensione biblica, la figura dominante è la libertà. «Il Dio della Bibbia - dice Salvatore Natoli – è libero per definizione, e l’uomo non può conoscere il suo disegno. L’onnipotenza di Dio non deriva da una quantità scalare di potenza, ma dal fatto che essa è inafferrabile da parte dell’uomo. C’è però un luogo, l’Alleanza, nel quale la libertà illimitata di Dio e quella limitata dell’uomo si vincolano. Qui è l’elemento destinale: l’uomo costruisce il suo destino di salvezza se è fedele all’Alleanza». Di tale legame, l’età moderna ritiene di non aver più bisogno: «L’uomo secolarizzato vede che può fare da sé le cose che un tempo chiedeva a Dio. L’uomo si naturalizza, si sente cioè parte della natura; mentre l’uomo cristiano era il culmine della natura, perché alleato a Dio. Per i moderni noi siamo un caso della natura: dobbiamo conoscere scientificamente i nostri vincoli per guidarli, per trasformare un destino patito in qualcosa di cui diventiamo autori».
La tecnica e la politica «sono le due grandi armi della modernità». Ma nell’età contemporanea sembra riemergere una visione tragica del destino. Walter Benjamin – citato da Bertoletti - scrive che «il destino è il contesto colpevole del vivente»: ogni ente deve espiare la colpa dell’esser nato. Osserva Natoli: «Se per i Greci comprendere la propria condizione era il modo di giocare con il destino, oggi l’elemento imponderabile è assai cresciuto: riguarda non solo gli accadimenti, ma anche le nostre possibilità». I terremoti, certo, fanno parte dell’imponderabile. «Ma a L’Aquila, ad Haiti, in che modo erano state costruite le case? Oggi potremmo teoricamente prevedere ciò che accadrà: così ci colpevolizziamo per quello che non abbiamo fatto». Riscopriamo qui la nostra «responsabilità per il destino», evocata nel libro dal contributo di Sergio Givone. E anche la nostra finitezza:«Una condizione che bisogna saper accettare per vivere meglio il presente».
Nicola Rocchi

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