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Mercoledì, 06 Luglio 2016 07:37

Porre fine al «bel gesto» della morte smontando l'irrilevanza della morale Marc Augé ha acutamente messo in parallelo la «provocazione» di Breton con l'estremismo

ORZINUOVI. Marc Augé nella piazza della processione, del mercato, dei funerali e dei battesimi. Qui c'è stato, un anno fa, Enzo Bianchi. E si sarebbe meno innervosito, una volta all'aperto, Massimo Cacciari, rifugiato in chiesa per pioggia. Ieri c'era Augé, personaggio mondiale dell'etnologia e dell'antropologia, da quattro giorni nelle nostre terre a seguire il movimento dei Filosofi lungo l'Oglio.

Ammirava la lunga piazza di Orzinuovi e studioso dell'arte comprendeva, fino in fondo, di stare nel mezzo di una fortezza dell'estremo entroterra veneto. Immaginava Venezia, padrona di queste terra, a oriente, e a nord, oltre la merlatura del castello, là in fondo, forse gli piaceva stendere la forma urbanistica di cui ama la storia e la modernità della École des hautes études en sciences sociales di Parigi, dove è stato presidente per lunghi anni. Il popolo del Festival ha occupato molta parte della piazza, il vicesindaco Alessandro Battaglia ha portato il saluto della comunità, la presidente dei Filosofi, Francesca Nodari, si è emozionata per ospitare la genialità del relatore sul tema, «Per la Gratuità». Emozionata anche per essere figlia di questa terra e di questa piazza. Augé si è istruito a una raffinatezza di quei linguaggi semplici che contengono molti significati, invitano a decifrare la doppiezza delle parole soprattutto nella loro estensione metaforica. Gratuito è il bene, gratuito è il male, il problema è in che modo scegliamo il bene invece del male. Augé dispone di un argomentare paradossale, si muove dal fondo dell'abisso e risale con l'invito alla responsabilità. È importante per Marc Augé riunire l'ieri con l'oggi, la letteratura con la realtà. La letteratura di ieri è il secondo capitolo del «Don Giovanni», dove si tenta il povero a bestemmiare in cambio di una moneta d'oro. La letteratura di ieri è il pensiero di Breton quando afferma che «l'atto surrealista più semplice consiste, revolver in mano, nello scendere in strada e nello sparare a caso, finché si può, sulla folla». Se l'uomo fosse solo al mondo, la gratuità del bene e del male sarebbe indifferente. Marc Augé penetra i nostri giorni, mette in parallelo quel Breton e questa nostra parte di Islam del terrore. La strada per porre fine al «bel gesto» della morte è smontare la tentazione a un'irrilevanza della morale. Augé riafferma che l'essere umano ha bisogno dell'altro, rilancia l'idea che le estreme diseguaglianze provocano morte così come il riferimento al «bel gesto» all'estetica per l'estetica dei comportamenti. Ricorda il dominio di un'estetica vuota «il bel gesto» della guerra, «il bel gesto» paranoico dei foreign fighter. Invita a un impegno educativo lungo nel tempo, a formare il nuovo spirito della persona con la cultura della responsabilità e l'adesione all'idea di un sussidio economico universale per i più deboli. Un passo per camminare meglio, non la soluzione del problema, ma un interessante alleggerimento della tragedia. Va rilanciato il patto sociale fondato sul presupposto che «ogni parola impegna colui che la pronuncia, che ogni atto chiama in causa colui che lo compie». Dall'altro lato aggiunge Augè il valore lavoro è stato scardinato da quando la globalizzazione finanziaria ha imposto la sua legge e ha accresciuto lo scarto trai più ricchi dei ricchi e i più poveri dei poveri. L'essenziale tuttavia non si riferisce esclusivamente al sussidio, ma è altrove. Ristabilito un cammino meno ingiusto, «resterebbe da mettere a punto un sistema di educazione che permetta a tutti di accedere ad una formazione di loro stessi per tentare di comprendere meglio ciò che fanno e chi sono. Ma il prezzo da pagare è prendere coscienza dell'esistenza degli altri».

Un nuovo Seneca. Marc Augé rimanda, quasi, a un nuovo Seneca, a una mappa di semplicità, pulizia, buon senso. Ma quando il buon senso è in esilio e l'egoismo è prevaricante e ampiamente maggioritario, pur sostenuto da forza numericamente esigue, anzi esilissime, cosa si può fare? Gli abissi sono ora un pavimento su cui si è steso il sangue di nove italiani tormentati e assassinati neppure per una questione di diseguaglianza. Gli assassini erano ricchi e istruiti, figli di quarta mano di quel «bel gesto» che cresce dalla nausea del vivere perfino in una terra asiatica. Si alza, strepitoso, il grido
a curarsi alla fonte di una nuova educazione culturale.

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