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Lunedì, 01 Febbraio 2016 15:57

L’abominio di Ravensbrück - Una narrazione al femminile della Shoah

È possibile parlare di una narrativa al femminile della Shoah? È questa la domanda al centro della quinta edizione del Festival Fare memoria dal 3 febbraio all’8 marzo nella provincia di Brescia. Gli incontri si terranno a Chiari, Rovato, Orzinuovi e Flero. Tra i partecipanti vi saranno le sorelle Tatiana e Andra Bucci, sopravvissute ad Auschwitz. Durante il Festival Fare memoria si svolgerà anche la quarta edizione della Giornata europea dei giusti, e nel giardino di Orzinuovi verranno proclamati tre giusti: quest’anno sono state scelte tre donne. Pubblichiamo l’anticipazione di una delle relazioni che si tiene il 3 febbraio a Chiari.

In una situazione estrema come quella dello sterminio nazista degli ebrei, quando ogni ebreo, uomo, donna o bambino, era destinato a essere ucciso, come possiamo parlare di differenza nel trattamento riservato nei campi agli uomini e in quello riservato alle donne? E ancor prima, quando si scatenava la caccia all’ebreo? E successivamente, tra i sopravvissuti che prendevano la penna per raccontare la vita e la morte nei campi, esistevano differenze tra la scrittura delle donne e quella degli uomini? Esiste cioè una narrazione al femminile della Shoah? Queste le domande che ci si pone se si vuole affrontare il discorso di genere nella Shoah.

Per rispondere, cominciamo da un dato statistico. Roma, 16 ottobre 1943: 1024 ebrei deportati, di cui 275 uomini e 458 donne sopra i 15 anni e il resto bambini. Tale differenza aumenta ancora se si passa ad analizzare il numero dei deportati nella zona del vecchio ghetto, da dove sono stati presi quasi la metà dei deportati. Ad esempio, quella mattina del 16 ottobre dalla casa di Via Portico d’Ottavia 13 escono sospinte dalle armi dei nazisti 34 persone, di cui solo due sono uomini, il resto donne e bambini. Di quei 1024, come sappiamo, tornarono in sedici. Quindici erano uomini (su 275 deportati) una sola la donna sopravvissuta, Settimia Spizzichino (su 458 donne). Nessun bambino. La differenza è ancora più grande. Certo, ci sono anche situazioni opposte. I 335 martiri delle Fosse Ardeatine erano tutti uomini, nessuna donna fu scelta per il massacro. E ancora, nel lungo periodo dell’occupazione nazista di Roma, successe che le bande fasciste agli ordini di Kappler arrestarono, dopo il 16 ottobre, gli uomini della famiglia e lasciarono liberi donne e bambini. Successe, ma non fu la regola, e d’altra parte i nazisti non facevano distinzione, nei loro arresti. Lo scarso numero di uomini arrestati il 16 ottobre era il risultato del fatto che gli ebrei romani credevano che i nazisti avrebbero arrestato solo gli uomini per portarli al lavoro forzato e all’arrivo dei nazisti, quando poterono, li fecero fuggire. Le donne restarono, convinte che non sarebbero state toccate. Un fatto che basta a spiegare il numero altissimo di donne e bambini arrestati, ma non incide sul fatto che le donne e i bambini non tornarono.

Ma nei campi? Se la morte non faceva differenze nei vagoni piombati, dove a morire erano soprattutto vecchi, uomini o donne che fossero, e bambini molto piccoli, quale era la situazione all’arrivo nei campi? Sappiamo che le donne erano anch’esse scelte per il lavoro forzato, quando erano giovani ed erano considerate, alla selezione, in grado di lavorare. Ma c’era un’eccezione fondamentale, che riguardava le donne accompagnate dai loro bambini, quelle con i bambini in braccio. Queste donne venivano mandate subito al gas, con i loro bambini. I nazisti pensavano, e non si facevano scrupoli a dirlo, che una donna che aveva appena perduto i propri figli non sarebbe stata in grado di lavorare in maniera soddisfacente. Così i bambini ebrei furono accompagnati al gas dalle loro madri.

Naturalmente, anche le donne incinte erano mandate direttamente al gas. Nei campi, infatti, in linea di massima i bambini non potevano nascere. Dal 1942 in poi le donne che erano incinte al momento dell’internamento erano obbligate all’aborto appena la gravidanza veniva scoperta oppure venivano selezionate per l’immediata uccisione. Ciò per non disturbare la produzione. L’aborto era praticato fino all’ottavo mese e il feto bruciato in una stufa.

Informazioni aggiuntive

  • autore: Anna Foa
  • giornale: Osservatore Romano

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