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Venerdì, 18 Settembre 2015 00:28

La fragilità è la nostra forza

MODENA — Tra gli ospiti più attesi alla XV edizione del festivalfilosofia v'è senza dubbio Michela Marzano, ordinario di Filosofia morale all'Université Paris V (René Descartes), eletta nel 2009 da «Le Nouvel Observateur» uno dei cinquanta nuovi pensatori più originali e fecondi del mondo. In questa intervista ci anticipa i tratti salienti della lectio magistralis: Riconciliarsi col proprio passato che terrà domani, alle ore 16.30, in Piazza Martiri a Carpi.

Che cosa significa fare i conti con il proprio passato? Lei scrive in L'amore è tutto (Utet 2013) che: «L'altro non potrà mai colmare il vuoto che ci portiamo dentro. Il vuoto lo si può solo attraversare». Magari insieme, certo. Resta il fatto, come coraggiosamente ha dimostrato in Volevo essere una farfalla (Mondadori 2011), che occorre guardare in faccia la sfinge fino in fondo per elaborare ciò che ci ha fatto soffrire, piangere, urlare, disperare...
«Prima di scrivere Volevo essere una farfalla, pensavo che non avrei mai parlato della mia anoressia. Che sarebbe rimasto per sempre il mio segreto. Che non avrei permesso a nessuno di sfiorare le mie debolezze. Poi, pian piano, raccontare la mia storia è diventata una necessità. Ho capito che senza quella sofferenza, forse, non sarei diventata la persona che sono oggi. Probabilmente non avrei capito che la filosofia è soprattutto un modo per raccontare la finitezza e la gioia, le fratture e le contraddizioni».

Trovare la forza di ripercorrere ciò che è stato non e facile né scontato. Sovviene; in proposito, la frase a Lei cosi cara di Camille Claudel: «C'è sempre qualcosa di assente che mi perseguita»...
«Sono profondamente convinta che l'unica ragione che ci può spingere a ripercorrere ciò che è stato è la sofferenza. Non quella inerente alla condizione umana, però. Non quella che non scomparirà mai perché, appunto, c'è sempre qualcosa di assente che ci perseguita. La sofferenza cui penso è quella eccessiva, quella che ti impedisce di andare avanti e di rialzarti, quella che, a volte, ti impedisce persino di parlare. È solo allora che si sente il bisogno di fare una psicanalisi e di cercare il bandolo della matassa che si è perso. Certo, chi la pratica da anni, o chi la ha pra-ticata, sa bene che alla fine di un percorso non si trovano risposte alle mille domande che ci si pone. E attraverso la psicanalisi, però, che la parola si libera e che si riesce a venire a patti con i propri demoni».

Lei scrive: «Si ama quella ferita che lui o lei portano dentro»: è questa la chiave del vero amore»?
«Non so se sia questa l'unica chiave del vero amore. È comunque quello che ho pian piano imparato. Accorgendomi che l'amore 'accade' solo nel momento in cui si accetta di convivere con la nostalgia dell'infanzia e si capisce che, in fondo, è così per tutti».

Nel suo pensiero occupa un posto centrale la nozione della vulnerabilità e della fragilità umana versus i modelli contemporanei che hanno di mira la prestazione, il mero apparire, la spettacolarizzazione delle vite e dei corpi come se la paura, il dolore, l'incertezza, l'imperfezione, la malattia fossero stati da bandire.
«Ormai siamo quasi tutti ossessionati dalla perfezione. Bisogna essere sempre impeccabili, all'altezza delle aspettative altrui, capaci di reagire immediatamente di fronte alle difficoltà, pronti ad andare al di là dei propri limiti. E se la nostra verità fossein guell'imperfezione che ci portiamo dentro e che cerchiamo a tutti i costi di negare? E se fosse solo nel momento in cui rinunciamo alla perfezione che possiamo poi vivere pienamente? Talvolta è proprio nel momento in cui ci fermiamo un istante e cerchiamo di entrare in contatto con noi stessi, che ci rendiamo conto che le nostre fragilità possono diventare un punto di forza».

Informazioni aggiuntive

  • autore: Francesca Nodari
  • giornale: La Provincia

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