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Giovedì, 09 Luglio 2015 10:06

Donà in viaggio oltre il consumo tra jazz e filosofia

PALAZZOLO S/O. L’antica Pieve di San Fedele a Palazzolo, martedì sera, offriva, alla «banda di Francesca Nodari» e ai suoi appassionati dei «Filosofi lungo l’Oglio», i condizionatori immaginari dal coro angelico dell’abside e dei volti rinascimentali, consumati in tre quarti d’ora dai boccheggi di centinaia di persone.

E quando Massimo Donà, docente di Estetica e trombettista jazz, non solo a tempo libero, «capo di un’altra banda», ha mosso il suo swing, scegliendo da creativo il contro-tema, il fuori tema, per centrare il nucleo, più tardi, della questione tra unità delle differenze e l’armonia. Tra diversità del cibo e la sua astrazione, dall’origine della terra alla trasformazione culinaria; mostrando la bontà della sua lezione intitolata «Oltre il consumo. Del cibarsi come esperienza assoluta dell’Assoluto». Il pensatore ha riunito in un finale ribelle e scoppiettante la sua «banda» nelle diverse interpretazioni degli strumenti, ciascuno padrone del pezzo, libero-free. Donà s’è trovato chiuso in un finale unico e irripetibile, perciò astratto per libertà pre-anarchica e nello stesso tempo obbediente, dunque tomistico, per regola accesa e obbedita dell’Assoluto, del mistero, appunto dell’Uno e dell’Armonia.

Il viaggio. L’ha detto lui, con la tromba e l’estetica, in un viaggio singolare tra neoplatonismo e tomismo, coro marxsta-idealista-illuminista-umanistico con Feurbach, Hegel, Kant e compagnia cantante, con il trio della bellezza intesa come viaggio verso l’universale di Raffaello, l’icona russa volontariamente anonima per mostrare di attendere al suo unico compito, quello di finestra per aprire al soffio di Dio, fino al colpo di teatro dell’entrata in campo dell’ultimo Duchamp, in un assolo degno del primissimo, non sanremese, Louis Amstrong. In questo viaggio, dicevamo, Marcel Duchamp è emerso per quella sua «indifferenza», spiegava Massimo Donà, da tradurre come passione quieta e non rinnegabile dello stupore per le cose differenti.

Stupore. Per primo per lo stupore dell’artista nel constatare che il suo progetto non è segui- to al finale dell’opera. Massimo Donà ha scartato per tutta la Pieve lo spartito musicale della sua estetica, un jazz filosofico giocoso e mai banale - ecco il solito punto celebrativo della lezione, per una pre stima verso il relatore e di più del Festival nella sua unità di differenze, nel suo finale di armonia - e quindi s’è immerso in un rapporto a filo di confine tra razionale e irrazionale, fantasia e mistero da capogiro. Siccome, sostiene bene Donà, l’artista come il filosofo non aspira all’unità per l’armonia, ma sa bene che se gli riesce di raggiungerla, a quel punto, nel massimo godimento del traguardo, scopre la non essenzialità del molteplice, del differente a cui appartiene, dell’originalità unica terminata in una sintesi. Da qui, si staglierebbe la malinconia ineliminabile propria dell’artista, condannato per il fine inesausto che si propone. Invece, il compito del filosofo-musicista, artista-letterato, il compito di chi crea è di sparire, indistinto, nella sua creazione. Così, culinariamente, tocca al prodotto dell’orto, ricettato dal cuoco, mutato nella ricetta, unito-distintamente nel cibo. Individuale e non universale. Donà si stacca dallo schema universale o individuale, e sceglie «un’indifferenza attiva», in cui a ognuno basta l’accettazione finale della propria creatività, distaccato, quasi stoicamente, dalla necessità di appartenere a una scuola invece che al creato. Come chi si iscrive alla propria nota invece che all’insieme delle altre note, alla musica del canto «indifferente» dell’armonia. Cioè perfetto perchè indistinto. Come un giornale senza firme e senza testata. Un giornale.

Informazioni aggiuntive

  • autore: Tonino Zana
  • giornale: Giornale di Brescia

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