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Sabato, 27 Luglio 2013 02:00

Noi e gli altri: «La vitale importanza di un’identità che si nutre di relazione»

Piero Coda Piero Coda

Con una meditazione sull’alto mistero del Dio trinitario, che si manifestacome «abitato e vivificato dall’alterità », si è conclusa giovedì sera a Castrezzato l’ottava edizione del festival «Filosofi lungo l’Oglio», dedicata a «Noi e gli altri».

Un viaggio durato 49 giorni, con 17 incontri - più la cerimonia di consegna a Christos Yannaràs del «Premio Filosofi lungo l’Oglio.Un libro peril presente» -, seguiti da un pubblico attento e in costante crescita: a testimonianza di una «voglia di comunità» che fa del festival «un laboratorio in cui la filosofia della relazione venga esperita e messa in pratica», come osserva con soddisfazione il direttore scientifico Francesca Nodari.

Domenica scorsa, Maria Rita Parsi ha riempito la piazza di Orzinuovi con il suo intervento sulla «La fine della solitudine», aperto dalla relatrice (presidente della Fondazione Movimento Bambino) con la richiesta di un minuto di silenzio per Andrea e Davide Iacovone, le due piccole vittime di Ono San Pietro. L’altra sera il teologo Piero Coda, protagonista dell’incontro finale, ha certificato che il festival «è ormai conosciuto in Italia come un evento importante e qualificato». La rassegna ha raggiunto quest’anno le 14mila presenze e i visitatori sul sito internet sono stati 122mila, oltre il 50% in più rispetto al 2012.

Anche giovedì, in piazzetta Pavoni, la «catena umana di amici pensanti » evocata dalla Nodari non si è spezzata, nonostante la calura e l’impegno richiesto dal tema. Piero Coda, accolto dall’assessore alla Cultura Mariapaola Bergomi, ha riflettuto sul legame esistente nella nostra cultura tra la «questione di Dio » e il problema del rapporto con gli altri. Fin dalle sue origini, ha spiegato, «nel fenomeno religioso è presente una tensione ineliminabile tra la percezione di un principio assoluto e universale, e il riferimento di questo principio a un gruppo umano particolare». Il Dio universale diventa quello di un «noi» da contrapporre agli altri: «La trascendenza del divino è assorbita nel gioco identificativo e separativo dei gruppi umani».

Ma il Dio del monoteismo, quale appare per la prima volta nella tradizione ebraica, non è conflittuale come viene talvolta presentato. Al contrario: «Il monoteismo biblico si propone come l’affermazione netta del valore dell’alterità in quanto tale. Dio si pone di fronte alla creazione come un io di fronte al tu, e così costituisce l’alterità dell’uomo, un io a sua volta posto liberamente di fronte a Dio». «Tu ami tutte le cose che esistono», dice il libro della Sapienza: «Ogni cosa viene all’essere come dono gratuito di Dio, il garante di ogni alterità nel contesto di un’unità plurale e riconciliata». Nella tradizione ebraica, questo principio si manifesta nella legge dell’accoglienza versolo straniero,sancita nel Levitico: «Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi».

Il Nuovo Testamento è ancora più ricco di implicazioni: «Dio si manifesta come un noi, la Trinità. "Io e il Padre siamo uno" dice Cristo nel Vangelo di Giovanni: l’unità stessa di Dio è attraversata ed espressa dall’alterità, grembo e vivaio dell’armonia libera e molteplice». Nell’evento della Pentecoste («Apparvero loro lingue come di fuoco... ») si mostra, con lo Spirito Santo, «un Dio custode dell’alterità e promotore dell’unità che nasce dai molti». Nella preghiera al Padre che precede la Passione, Gesù dice:«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola:perché tutti siano una sola cosa». È questo, sottolinea Coda, ciò che in fondo desideriamo: «Che tutti siano una sola cosa con noi, che ci sia un’intimità nella diversità in cui ciascuno è veramente se stesso. Cristo propone una forma di vita plasmata dal mistero della Trinità: convergenza massima nella più piena libertà». Una sfida da concretizzare nella vita quotidiana, perché «mai come oggi questa preghiera pulsa nel cuore della storia».

L’invito finale del relatore diventa la sintesi ideale del percorso proposto dal festival: «Rendiamoci conto che lo straniero è per noi il farsi presente della questione radicale della nostra identità. Noi siamo perché l’altro è, la nostra identità si costituisce nella relazione. Ed è vitale un’identità capace di non arroccarsi, di fare esodo da se stessa per potersi incontrare solo fuori di sé». L’altro «è una benedizione per noi».

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