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Giovedì, 20 Giugno 2013 21:08

La resa dell’io verso il prossimo libera dalla prigione dell’egoismo

Duccio Demetrio Duccio Demetrio

La chiesa parrocchiale di Barbariga si riempie come nei giorni di festa, vengono in dieci, a due a due, altri cinque, passano un temporale strabico, venuto giù a picchiare mezzo paese sì e mezzo no, nella sera di martedì, a permettere di entrare in una anelata frescura settecentesca, ospiti del parroco don Botticini che saluta insieme alla prof. Ferrari, la quale smarca subito il capo assoluto del Festival dei Filosofi lungo l’Oglio, la quale va in rete, di nuovo,davanti a una chiesa colma di attenzioni e di calure sconfitte.

Eccola, lei, brava e sempre tonica, la dott. Francesca Nodari: introduce il prof. Duccio Demetrio, docente di filosofia dell’educazione, fondatore di un istituto in cui si accompagna per mano chi scrive di sé, chi decide di conoscersi per scrittura, di osservare se stesso e approfondirsi, collocando una parte di sé sulla scrivania e l’altro nelle righe pensate della propria memoria esistenziale, quel tanto o poco di dimenticato che spesso va riemergendo nella narrazione e nel ricordo delle stagioni trascorse. La scrittura aiuta a ricordare, contribuisce a guarire a ritrovare un io sminuzzato.

«Noi e gli altri» il filo conduttore dell’ottavo Festival. Al prof. Demetrio tocca il compito di riflettere intorno a «Il prossimo che è in noi: la memoria come condivisione». Il prossimo,dice il ricercatore,è il termine dolce che si ama subito, narra di una vicinanza, rimanda presto al soccorso, capta come una calamita il suo metallo, il buon samaritano piegato all’aiuto di quella persona sconosciuta stesa a terra. Non conosce chi sia,non sa ancora che il contesto storico lo presenterà quale nemico. Aiuta al di là del nome e cognome, del censo, della razza, del colore della pelle, aiuta per amore dell’aiuto in sé e per sé, per un istintivo movimento verso chi ha bisogno di misericordia e in cambio riceverà altrettanta misericordia nel Regno dei cieli. Il Samaritano non calcola lo scambio, neppure la misericordia per la misericordia,non è ancora a conoscenza della Beatitudine, «Beati i misericordiosi poiché riceveranno misericordia».

Sono le evocazioni del relatore, l’aggancio della tradizione cristiana con la civiltà prima di Cristo, ellenica e romana,la traccia di un sentiero convergente diretto alla replica dei diritti naturali e universali. Dunque, il prof. Duccio entra nel Comandamento, presente ancora prima di essere comandato, nella civiltà del diritto istintivamente umanissimo:«Ama il prossimo tuo come te stesso». Attenzione, istruisce il prof. Duccio Demetrio, sul rapporto tra l’amore di sé e dell’altro si corre il rischio di un’ambiguità, di mettere al centro se stessi e di misurare un’aritmetica, un baratto, un considerevole gusto della quantità nel rapporto tra l’io e l’altro. Non conviene, dice il relatore, non è lo spirito giusto del Comandamento. Si potrebbe allora rovesciare, «ama te stesso come il tuo prossimo», ma non si scioglierebbe la doppiezza di un amore che sembra curato in cambio sempre di qualcosa, magari messoa disposizione per senso di colpa oppure per soddisfare un vuoto. Cresce un suggerimento, si impone nella più semplice delle congiunzioni, la «e» - in ciò appunto che congiunge e unisce -, potrebbe essere, «Ama il tuo prossimo e te stesso»,quella congiunzione pareggia, anzi rende contemporanea il Noi e gli Altri e distribuisce l’amore rimettendolo al centro della questione esistenziale. Francesca Nodari aveva introdotto avvertendo che pure nella folla del Festival si avverte una prossimità, un desiderio di esserci e di scambiarci.

Il prof. Demetrio allerta su una mutazione antropologica, su un peggioramento delle qualità morali della persona e dunque diventa indispensabile questa corsa verso l’altro mentre si tiene permanose stessi, senza calcolo, senza ricerche combinatorie. Per la straordinaria vicenda di stare nel destino identico ovunque, di passare la vita, di entrare nel mistero, uniti e non divisi nel punto più originale della nostra sofferenza e della nostra liberazione. Si narra di un illustre condannato a morte per il complotto contro Hitler, delle sue poesie prima di morire: si legge il contrasto tra luiche è visto eroicamente dalle guardie e lui che è visto tremante verso se stesso. Si onora la conclusione: di un io che si congiunge in Dio. Di una resa intesa come rendimento e non arrendevolezza. La resa del giusto.

Informazioni aggiuntive

  • autore: Tonino Zana
  • giornale: Giornale di Brescia

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