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Lunedì, 17 Settembre 2012 02:00

Festivalfilosofia: numeri record per il viaggio della conoscenza

Umberto Curi Umberto Curi

Tra gli incontri di punta della XII edizione del Festivalfilosofia - che si è chiuso ieri con successo di pubblico, avendo superato, come comunicano gli organizzatori, le 176mila presenze dello scorso anno (la prossima edizione si terrà dal 13 al 15 settembre 2013) - spicca la lectio magistralis di Umberto Curi - docente di Storia della filosofia all’Università «Vita e Salute» San Raffaele di Milano - che è intervenuto a Modena, su «Che cosa è la verità?». Lo abbiamo incontrato in sala stampa prima della sua relazione.

Prof. Curi, oggetto del suo intervento è quel grande tema della filosofia, che è la verità: quali sono le analogie e differenze tra la verità nel modello greco e la verità nel modello cristiano?

Nella mia relazione mi propongo di istituire un rapporto fra alcuni passi tratti dai vangeli sinottici e il mito platonico della caverna, concentrando l’analisi sul dialogo fra Pilato e Gesù, dove il Nazareno, alla domanda del governatore romano:«Che cos’è la verità? », non risponde. Vorrei riflettere in margine a questo "silenzio"del Cristo, posto di fronte ad un interrogativo che, come lei ha notato, coincide col problema fondamentale della filosofia. E intendo far emergere quanto, in realtà, sia "eloquente" quel silenzio. Venendo ora al mito platonico della caverna, intendo approfondire soprattutto la seconda parte del racconto, abitualmente omessa, nella quale viene descritto il ritorno del prigioniero all’interno della caverna. Qui si vedrà fino a che punto il ritorno nel buio della caverna, lasciandosi quindi alle spalle la luce dell’aperto, non sia l’opposto della verità, ma ne costituisca una parte integrante.Non si può infatti essere nel vero, se non essendo liberi. Ma non si può essere veramente liberi, se non diventando liberatori degli altri. Mi pare che il nesso libertà-verità sia decisivo per una riflessione che si confronti sul "cosa" è la verità.

Potrebbe sinteticamente mostrarci la declinazione della verità nella costellazione dei temi da lei affrontati: amore, dolore, alterità, morte,per citarne solo alcuni?

Difficile,o meglio impossibile,indicare una accezione univoca di verità, sulla quale parametrare le mie ricerche degli ultimi quindici anni. Salvo forse in un punto. Credo che l’accezione di verità - declinata dunque al singolare, e non proposta in quella che sarebbe una contraddittoria pluralità - che soggiace ai miei lavori, sia la «veritas indaganda», e dunque non la verità come "cosa", come un quid che si possa afferrare,e di cui si possa disporre, ma piuttosto il percorso in cui da sempre ci troviamo e che è coestensivo alla nostra stessa vita. E dal quale non potremo mai dire di essere usciti,non avendo completato la strada. Non riesco ad immaginare altro modo di intendere la verità se non come infinita «inquisitio». Ispirandomi a questo assunto, ho potuto riscoprirela qualità intensivamente teoretica di questioni-come l’amore,la morte, l’alterità, la passione - che tendono ad essere emarginate da un dibattito filosofico sempre più ricondotto all’ambito della discussione tecnica fra accademici. Rilanciare l’accezione originaria del filosofare,come interrogativo intorno a ciò che costituisce la peculiarità della condizione umana, mi pare il primo passo necessario nel cammino verso la verità.

Informazioni aggiuntive

  • autore: Francesca Nodari
  • giornale: Giornale di Brescia

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