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Sabato, 30 Giugno 2012 01:03

La legge divina luogo d’eccellenza della libertà che porta dignità

Ha evocato l’orrore dei lager Massimo Donà, ospite l’altra sera del festival Filosofi lungo l’Oglio a Castrezzato, con un intervento centrato sul rapporto tra dignità e libertà.

Un’esperienza, quella del campo di concentramento, che - ha detto citando PrimoLevi -«non si deve comprendere, perché comprendere è in qualche modo giustificare ». In essa siconcretizza la capacità dell’uomo di privare i propri simili di quel genere di libertà alla base della nostra dignità: «La possibilità di comprendere il mondo attraverso un continuo distinguere e scegliere».

Tema impegnativo, affrontato con coinvolgente forza oratoria da Donà, docente difilosofia teoretica all’Università Vita- Salute del San Raffaele di Milano e autore di molti volumi (l’ultimo è «Filosofia dell’errore», Bompiani). Accolto dall’assessore alla Cultura Mariapaola Bergomi e dal direttore scientifico del festival, Francesca Nodari, il relatore ha esordito con Rousseau: «L’uomo è nato libero e dappertutto è in catene.

La storia dell’umanità è mossa da un incessante tentativo di liberarsene: i grandi mutamenti sono sempre nati dall’intenzione d’incrementare il "quantum" di libertà che l’uomo sente spettargli di diritto». Per Kant, la libertà è un «factum»della ragione:«Un fatto non dimostrabile, che percepiamo immediatamente quando avvertiamo qualcosa come un impedimento rispetto al quale potremmo scegliere in modo diverso ».

Il nostro anelito alla libertà assoluta, però, non potrà mai essere soddisfatto: «I vincoli del mondo esterno non sono eliminabili. Inoltre, cos’è questo regno della libertà che non abbiamo mai sperimentato? È ciò che ci proietterebbe in una situazione contraddittoria: non più limitati da nulla, avremmo realizzato tutto e saremmo definitivamente incatenati a una situazione in cui non è più possibile alcun progresso».

La libertà rimane comunque il «principio originario» che spinge gli esseri umani in avanti. Fino a quale confine? Qui Donà ricorda le parole di Levi sui lager: «Dicendo che essi non si devono comprendere,lo scrittore pone un’enorme questione. Siamo abituati a pensare che il limite della comprensione umana si trovi là dove l’uomo è in rapporto con qualcosa che lo riguarda e al contempo lo eccede». Un’esperienza vissuta quando si entra nel territorio del sacro.

«Gli esegeti della Torah sapevano che non basta conoscere la differenza tra bene e male, applicare la legge divina: bisogna "vivere nella legge liberi dalla legge",applicando cioè la vera libertà di cui essa è espressione». La legge è infatti «il luogo della libertà originaria: lei, che tutto vincola, non è vincolata da nulla.O riconosciamo in essa il rimando a un abisso di libertà, o non accederemo mai alla sfera del sacro».

L’«incomprensibilità» dei lager, invece, nonha nulla che vedere col sacro: è interamente umana. «Al nuovo entrato il lager appare indecifrabile, cioè alieno a quei criteri che - fondandosi sul principio aristotelico di non contraddizione - ci aiutano a comprendere il mondo, per lo più operando distinzioni: bene e male, essere e nulla...».

È l’uomo stesso a produrre in quei luoghi «l’inabissamento del principio fondamentale dell’umano: viene dato un volto a quell’indistinto la cui ombra accompagna ogni nostra libera scelta» e che non bisognerebbe mai pretendere di separare da noi e delimitare, «chiudendolo dietro un filo spinato».

Informazioni aggiuntive

  • autore: Nicola Rocchi
  • giornale: Giornale di Brescia

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