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Sabato, 12 Maggio 2012 02:00

Rileggere Lévinas: pensiero incarnato ed esperienza etica di apertura agli altri

Un pensiero ritrovato scavando all'interno di noi stessi, fino a comprendere che solo nell'apertura all'altro si può individuare la radice di un rinnovato rapporto col sé.

«Il pensiero incarnato in Emmanuel Lévinas» (Morcelliana) è l'illuminante volume di Francesca Nodari, in cui la studiosa bresciana ricostruisce il cammino dell'autore di «Totalità e infinito», muovendo da un'opera ritenuta centrale, i «Carnets de captivité» («Quaderni di prigionia»). Il volume "deriva" dalla tesi di dottorato della Nodari,che nel corso degli anni ne ha approfondito, affinato, ampliato i contenuti, come ha notato il giornalista Tonino Zana ieri nella presentazione alla Libreria dell'Università Cattolica con l'autrice e con Adriano Fabris, professore di Filosofia morale all'Università di Pisa.

«Certe parole le cogliamo ancora prima di coglierne il senso - ha notato Zana -. Credo che sia il caso del pensiero di Lévinas, che entra nella vita di ciascuno di noi. È filosofo che s'incontra senza ancora averlo conosciuto, e c'è qualcosa di illuministicamente suo e nostro in questa pre-condizione per la quale ci siamo ancora prima di esistere». Emmanuel Lévinas (1905-1995), filosofo di origine ebrea, apprese a Friburgo, città dove Heidegger (che aderirà, seppur brevemente, al partito nazionalsocialista) assume la cattedra precedentemente titolata da Husserl, i princìpi della fenomenologia.

Fu internato in un campo tedesco nel '40, e segregato in baracche per prigionieri ebrei, dove rimase fino alla fine della guerra. «Un personaggio straordinario - ha commentato il prof. Fabris -. Abbraccia la fenomenologia, ma la comprende come fenomenologia dell'esistenza, applicata a quello che noi siamo in prima persona, l'esserci esistente, qualcosa che è qui e che vive di volta in volta.

Subisce l'incantamento di Heidegger perché egli dava concretezza all'esistenza, ma Heidegger la indirizza nelle mani sbagliate, e finisce nelle maglie del nazismo e di Hitler». Lévinas «cerca di evadere», passando attraverso «il nostro dentro e il nostro fuori», in una «filosofia della carne», ovvero quel «pensiero incarnato», che rappresenta l'originalità del saggio di Francesca Nodari. L'opera, nota Fabris «mette in evidenza proprio questo tema di Lévinas e il passaggio successivo che il filosofo compirà, elaborando una fenomenologia non più solo dell'esistenza, ma della carne e del corpo».

Altro versante scandagliato dall'autrice è quello della temporalità, che Lévinas aveva affrontato in particolare nel lavoro «Il tempo e l'altro» e che tratteggia «un'uscita verso un'esperienza etica, l'apertura verso gli altri». «Significa - ha osservato ancora Fabris - ripensare anche alla nostra mortalità, che non è per noi l'ultima parola e non solo fonte di angoscia: possiamo anche uscirne, nella relazione fondamentale con gli altri». Come fece Lévinas, davanti al dramma di milioni di ebrei sterminati. E come è possibile ad ognuno di noi, che nella scomparsa delle persone care possiamo cogliere che pure la morte «può avere il suo senso, se mi impegno in una relazione con altri e per altri».

La filosofia di Lévinas, e lo stesso saggio della Nodari, riconduce ad una categoria "speciale", il «bisogno», ma include anche fortemente la nozione di libertà. E la funzione della filosofia, oggi, per l'autrice, è proprio quella di «tornare ad essere legata alla vita, aiutarci a superare anche i peggiori momenti di crisi».

Informazioni aggiuntive

  • autore: Anita Loriana Ronchi
  • giornale: Giornale di Brescia

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