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Domenica, 24 Luglio 2011 16:55

La «felicità» di invecchiare riscoprendo il senso del tempo

Adriano Fabris Adriano Fabris

Non è la vecchiaia il problema del festival «Filosofi lungo l’Oglio» che ha chiuso l’altra sera la sesta edizione nella deliziosa piazzetta Pavoni di Castrezzato, con l’assessore alla Cultura Mariapaola Bergomi e il vicesindaco Bruno Ferretti a fare gli onori di casa. La rassegna è nel pieno delle forze, come ha dimostrato il pubblico che ha sempre riempito i luoghi dei 12 incontri, tutti di elevato spessore, dedicati alla felicità. Gli «amici pensanti» salutati dalla direttrice scientifica Francesca Nodari hanno comunque appreso, nell’ultimo appuntamento, che è possibile praticare anche un’arte felice dell’invecchiare. L’ha spiegato Adriano Fabris, docente di filosofia Morale all’Università di Pisa e autore di molti saggi pubblicati da Morcelliana.

Oggi, ha osservato il relatore, viviamo in un tempo paradossale: «Con i progressi della medicina, gli anziani saranno sempre più numerosi. Nello stesso tempo, molti si sforzano di travestirsi da giovani. Nessuno vuole più invecchiare; ma è un’illusione l’idea di poter vivere sempre in una situazione ottimale. Negare il tempo che passa non è rispettoso verso se stessi e gli altri». Il tempo va invece gestito: «Non quello cronologico ma quello interiore, per rendere la vita il luogo in cui è possibile aderire a ciò che autenticamente siamo».

È vero che la vecchiaia è una sorta di «apprendistato al congedo». L’approccio alla vita e alle emozioni è meno immediato: «Si impara a gestire le gioie e i dolori, si diventa consapevoli che non tutte le cose hanno lo stesso valore e che è necessario fare scelte a volte dolorose. Chi invecchia «è più vulnerabile e prudente, conosce l’ambiguità che intreccia in molti casi il bene al male». E rischia che il passato governi la sua vita; monopolizzando il presente e annullando il futuro.

Tale condizione sembrerebbe incompatibile con la felicità. Ma – insegna Fabris – si può invertire la rotta, «recuperare un rapporto più vero col tempo». Comprendendo anzitutto che «lo scorrere del tempo è una dinamica incarnata dal nostro essere». Non bisogna cioè restare incastrati nell’idea dell’immutabilità del proprio carattere o nel dolore di certi periodi: «Facciamo esperienze è ci modifichiamo, viviamo nella prospettiva del tempo come spazio di relazioni. Uno spazio aperto, che solo noi possiamo riempire di senso». Nella società dei consumi, la vita non è qualcosa che «va consumato»: «Predomina l’idea che cose e relazioni sono destinate all’annullamento. Così, gli anziani sono coloro che san “passati dì moda”. Ma noi non siamo soggetti al consumo, questa è un’idea che va rifiutata Bisogna pensare al tempo non come distruttore ma come generatore». Si deve «aderire al tempo che noi siamo, liberarsi delle metafore che impediscono di sprigionare la fècondità dell’invecchiare Aderire a quella dinamica feconda di relazioni che ci caratterizza nel modo più profondo». Il festival si chiude così, giustamente, con la parola più evocata nel corso di questi due mesi di incontri: «eudaimonìa», la felicità secondo i Greci. «La vera felicità non consiste nella ricerca del piacere, che diventa desiderio infinito dell’infinito, Consiste nell’avere un buon “daimon”, quell’elemento proprio di noi stessi al quale dobbiamo aderire per essere felici».

Informazioni aggiuntive

  • autore: Nicola Rocchi
  • giornale: Giornale di Brescia

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