Il filosofo dello «stare al mondo» parlerà del connubio tra felicità e virtù, dei percorsi che possono condurre l'individuo a godere di una vita piena, realizzata e, perciò, felice.
Professore, ci inquadri il tema della sua conferenza...
Muoviamo dal concetto generale di esistenza, fil rouge del festival. Che cos'è esistere? Etimologicamente deriva da ex-sistere, ovvero venire fuori da e stare in. L'esistenza appartiene ad ogni forma della natura: emerge e si stabilizza, p eril tempo che intercorre tra la sua apparizione e la dissoluzione. Dal punto di vista filosofico, si parla di una dimensione del tutto casuale del singolo esistente, ma nel momento stesso in cui ciò accade, il caso diviene un fatto; l'esistenza si stabilizza e si sviluppa secondo una durata e realizzazione della sua potenza. Consideriamo due modi per la nascita dell'uomo: uno che risale all'espressione del Sileno «l'uomo è figlio del caso e della sorte», nel senso che siamo «gettati» (come direbbe Heidegger) dalla mera casualità e un altro consistente nel «venire al mondo», il che presuppone avere un paesaggio. Se è vero, infatti, che siamo nati per caso, giacché il fatto è avvenuto, ci troviamo di fronte una prospettiva, quindi un'apertura. Proprio perché siamo casuali, siamo unici, non sostituibili.
Platone nel mito di Er suggeriva che il nostro destino è dovuto metà alla fortuna e metà al nostro arbitrio.
Non direi metà e metà, poiché quanto attiene alla nostra nascita non ci appartiene. Dobbiamo costruirci nel mondo una nostra dimora, far crescere la no stra po tenza. «Existentia potentia est», il principio di Spinoza: si sta, si sussiste, perché la potenza spontaneamente vuole se stessa. Dal momento in cui nasciamo, abbiamo il compito di amministrare la nostra forza, a seconda delle situazioni e dei contesti in cui ci troviamo, e di questo siamo in larga parte padroni. «Vita buona, vita felice» sta ad indicare la modalità con cui nel nostro stare al mondo realizziamo tutte le nostre potenze e le nostre possibilità: solo allora possiamo definirci felici.
Come possiamo riuscire in tale obiettivo?
Attraverso la pratica e l'esercizio si può acquisire la competenza di sé, delle nostre qualità. Ilbene è la realizzazione dell'ente, è realizzare l'insieme delle nostre possibilità. Però siamo una quantità di forza non infinita ed è importante la gestione per capire verso cosa siamo predisposti, sviluppare quelle doti che ci caratterizzano; sotto questo aspetto, fondamentale è l'educazione. Evitare il delirio di onnipotenza, l'illusione di potere tutto. E ricordare che la realizzazione di sé non può avvenire se non con gli altri; la radice della morale germoglia dal fatto che, per quanto unici, siamo frutto di una relazio ne e non autosufficienti. Vivere bene equivale a praticare la virtù, che non è conformismo o «castrazione» per citare Nietzsche, ma, dal greco «areté», arte di vivere, sapersela cavare, trovare vie d'uscita.
Anche la costanza in quanto «laboratorio di speranza» (argomento del suo ultimo saggio) può contribuire a rendere una vita buona e felice?
Può fare qualcosa di più. La perseveranza è essenziale per portare a compimento un progetto di vita costruito in maniera razionale in base alle proprie competenze e alle relazioni con altri. Per riuscirci, il soggetto deve impegnarsi, altrimenti il disegno rimane vago e vano. La speranza è una modificazione del desiderio: speriamo perché c'è una spinta vitale che ci manda in avanti. Ma ciò non basta, bisogna coltivare la speranza, capire cosa di questa spinta può davvero essere realizzato, in mezzo alle difficoltà della vita. Ci vuole cocciutaggine, non cedere, cambiare strada se necessario, concordare alleanze che pertengono all'idea di progetto, per potere alla fine averla vinta.