Un altro mondo
è dipinto nella tua polvere.
Attraverso il nucleo infuocato della terra
attraverso il suo involucro petroso
sei stata offerta, trama d'addio nella misura del finito.
Farfalla,
buona notte di tutte le creature!
I pesi della vita e della morte
si calano con le tue ali
sulla rosa
che sfiorisce col maturo rientrare della luce.
Un altro mondo
è dipinto nella tua polvere.
Un segno regale
nel mistero dell'aria.
Nelly Sachs, Farfalla
Una vita non è scritta una volta per tutte: ne abbiamo veramente coscienza? Sappiamo osare quella speranza che nelle più diverse, disperanti circostanze può apparire futile testardaggine o risibile quanto vana consolazione?
Catherine Chalier, torna a parlare della speranza al Festival dei Filosofi lungo l'Oglio (2023) e quella conferenza diventa un libretto (a cura di Francesca Nodari, Mimesis 2024) che ha del miracoloso, considerati i tempi che corrono. È un concetto ricorrente la speranza, ma se dieci anni fa Chalier ne aveva ricostruito la storia evidenziandone il ruolo nel pensiero filosofico per poi approfondirne la «stupefacente resistenza» in ambito ebraico (Présence de l'Espoir, 2013), oggi ci ritorna per saggiarne di nuovo il valore positivo attraverso i limiti del verbo "osare".
Osare, ci ricorda la filosofa, non è un verbo dalle connotazioni prestabilite - negative o positive che siano -, «non assicura la qualità dell'azione», «non è necessariamente una virtù»: il verbo ha a che fare con «il cambiamento, il rischio, la scommessa o ancora la promessa, un patto importante», che apre «una breccia portatrice di novità e di speranza, per sé e per gli altri». Il significato di questo verbo in ebraico (leha'èz) sollecita la forza, il coraggio e il valore, e va di pari passo con una determinazione che è essenzialmente ricerca di sé. In questo senso sono soprattutto declinati la partenza, il rinnovamento del pensiero e la speranza.
Il racconto di Dio che dice ad Abramo di partire (Genesi 12, 1-2), sottolinea l'audacia di un'azione riflessiva. Abramo viene esortato a un viaggio interiore, alle radici di sé stesso, alla radice della sua vita e la chiamata è una promessa, anche se non costituisce «una garanzia di non soffrire». Il viaggio non è a senso unico e non è fatto una volta per tutte, ma deve sempre rinnovarsi. È un viaggio personale, unico, ma irriducibile a un'identità fissa. Qui Chalier ricorda rabbi Nachman di Breslav (Likutei Moharan II, 58) che paragonava il mondo a uno stretto ponte teso su due abissi sul quale a volta si ha paura di procedere. L'audacia della fede - nutrita dalla forza della gioia - ci fa muovere su questo ponte nonostante i rischi delle cadute. L'audacia dello studio ci rende coscienti della necessità di continuare a mettere (e a metterci) in discussione quanto appreso, a osare domandare: poiché «il rinnovamento (chiddùsh) del senso va di pari passo con il rinnovamento di sé».
Infine, Chalier prende in considerazione la speranza; quella «speranza priva di ragioni per sperare», trascurata o derisa dai filosofi, considerata come un'illusione, un tradimento (Albert Camus ne Il mito di Sisifo), un folle sogno (Giacomo Leopardi). Ma «sperare - ci dice Chalier - non significa aspettarsi un miracolo, una compensazione per la sofferenza o ancora una ricompensa o un salario che, un giorno lontano, o in un'altra vita, leniranno lo sconforto». Attraverso il recupero del pensiero levinassiano - di cui la filosofa è grande interprete -, Chalier afferma che «osare sperare, è sperare per il presente»!
Così, le parole di Eraclito: Se l'uomo non spera l'insperabile non lo troverà, possono essere ricongiunte, ancora, a partenze e a nuovi inizi: perché osare sperare significa cercare e riconoscere in sé quella luce che le tenebre non oscurano e non annientano e che, differenziandosi e contrapponendosi all'"attesa precisa" - sarebbe testimoniato dal «comportamento di bontà e di giustizia, indipendente da ogni razionalizzazione»:
In un mondo che soccombe alle seduzioni del male, un mondo nel quale Dio sembra tacere ostinatamente e smettere di ascoltare la chiamata delle Sue creature, questa bontà testimonierebbe tuttavia un'alleanza immemorabile dell'umano con il bene, essa sarebbe il segno di un Dio ancora straordinario. Di un Dio che bisogna saper aiutare donandoGli la forza affinché Egli non si spenga nell'anima delle Sue creature. (pp. 35-36)
E come non ricordare le parole audaci di Etty Hillesum nel suo Diario?
La vita è così curiosa e sorprendente e infinitamente piena di sfumature, a ogni curva del suo cammino si apre una vista del tutto diversa. La maggior parte delle persone ha nella propria testa delle idee stereotipate su questa vita, dobbiamo nel nostro intimo liberarci di tutto, di ogni idea esistente, parola d'ordine, sicurezza; dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e appiglio convenzionale, dobbiamo osare il gran salto nel cosmo, e allora sì che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori.