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Giovedì, 29 Giugno 2023 15:38

Catherine Chalier, «Osare e partire per tracciare un percorso all'interno di sé»

«L'audacia è non attendere che emergano ragioni di sperare per iniziare a farlo» Catherine Chalier Filosofa e traduttrice «L'audacia è non attendere che emergano ragioni di sperare per iniziare a farlo» Catherine Chalier Filosofa e traduttrice

Partire, rinnovare, sperare. Sono le tre «figure dell'osare» alle quali Catherine Chalier, ospite del festival Filosofi lungo l'Oglio diretto da Francesca Nodari, ha dedicato l'altra sera il suo intervento, nel refettorio del Museo diocesano di Brescia. I molti spettatori che hanno resistito al caldo e a qualche inconveniente tecnico hanno potuto ascoltare una bellissima lezione, nella quale la relatrice ha esortato a costruire anzitutto dentro di sé quello «spazio di libertà» senza il quale non è possibile assumersi il rischio di un vero cambiamento.

Catherine Chalier, filosofa e traduttrice, insegna all'Università di Paris X-Nanterre ed è autrice di studi che esplorano i legami tra filosofia e pensiero ebraico. Nel suo significato ebraico, ha spiegato, il verbo "osare" «richiede una forza (fisica, morale, spirituale), o ancora un coraggio e un valore, senza i quali non sarebbe possibile nessuna partenza, nessun rinnovamento del pensiero vivrebbe in noi, e nessuna speranza ci abiterebbe». L'atto di osare, dunque, «apre spesso una breccia portatrice di novità e di speranza»; ma esso può anche avere conseguenze distruttive per sé e per gli altri.

La scelta di partire ne è un esempio: «Osare staccarsi dalla propria famiglia, dalle proprie radici, sfidare l'ignoto e i pericoli, è oggigiorno un'audacia terribile di cui danno prova migliaia di persone in pericolo di vita». L'audacia dei migranti di oggi «sta tutta nella scommessa che essi fanno di non subire l'afflizione senza sfidarla avventurandosi a partire molto lontano». Essa va mantenuta viva: «Osare partire è anche tracciare un percorso dentro di sé. Una volta arrivati da qualche parte, questo cammino interiore ha bisogno di cura e di attenzione». E di atti di riparazione: «Pensare al passato senza soccombere sotto il suo peso, tenere insieme in una nuova esistenza alcuni dei pezzi inestimabili frantumati fin dal momento della partenza».

Anche la capacità di rinnovarsi è una forma di audacia: «Il se stesso cioè l'unicità di ciascuno tra noi non si trova mai stando fermi in un posto per paura di avanzare. É irriducibile a un'identità fissa, che non va confusa con l'unicità: quest'ultima si scopre a ogni passo che facciamo quando osiamo alzarci e andare, senza rimanere ancorati alle posizioni acquisite, verso un orizzonte in cui questo "se stesso" è chiamato a rivelarsi».

Bisogna accettare il rischio di perdersi: «L'essenziale è non aver paura, poiché il nemico principale non è fuori, ma dentro di noi».

Infine, la «grande audacia» dello sperare. «Per molti filosofi, sperare è una passione di ignoranti. Leopardi vedeva nella speranza un sogno e una follia. Ma l'audacia di coloro che sperano va oltre queste constatazioni severe, disilluse o amare, che sono sempre anche il risultato di una decisione del pensiero. Dalla constatazione, ad esempio, che la speranza della giustizia e della libertà è ovunque oltraggiata, se ne deve dedurre che questa speranza è essa stessa detestabile?».

Sperare, incalza la filosofa, «non significa aspettarsi un miracolo, una compensazione per la sofferenza o una ricompensa che un giorno lontano lenirà lo sconforto. Osare sperare, è sperare per il presente». Léon Blum scriveva dal carcere nel 1941: «Noi lavoriamo nel presente, non per il presente». E la nobiltà di un'audacia «che non attende che emergano delle ragioni di sperare per permettersi di farlo».

Nel romanzo «Vita e destino», Vasilij Grossman analizza «il significato della piccola bontà senza ideologia che il grande male terribile si accanisce ad uccidere ovunque e in tutti, senza riuscirci». Proprio questa bontà «testimonierebbe un'alleanza immemoriale dell'umano con il bene», sarebbe «il segno di un Dio ancora straordinario»

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