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Martedì, 14 Dicembre 2010 03:02

Quel corpo che è "nostro" in quanto aperto all' altro

Il corpo è apertura e situazione. Siamo gettati nel modo, o meglio siamo posti e, più rigorosamente, siamo chiamati. È vero che noi siamo biologicamente casuali, però nasciamo perché qualcuno ci ha chiamato alla vita. Anche che se chi genera non ha una tale consapevolezza, noi possiamo continuare a stare al modo soltanto perché qualcuno se ne prende cura. Come dire: siamo gettati nel senso che qualcuno poteva nascere al posto nostro, mentre nessuno può morire al posto mio.

È a partire da queste considerazioni che Salvatore Natoli – ordinario di Filosofia teoretica all’Università Bicocca di Milano – ha esordito, martedì sera nella suggestiva cornice del Castello di Padernello, ospite d’eccezione dell’Associazione culturale Filosofi lungo l’Oglio, in occasione della presentazione del terzo volume, intitolato Corpo, della collana del Festival omonimo.

Il libro – che raccoglie gli interventi della V edizione della kermesse filosofica conclusasi lo scorso luglio – ospita saggi di Bernhard Casper, Jean-Luc Nancy, Giuseppe Laras, Maria Rita Parsi, Adriano Fabris, Amos Luzzatto, Salvatore Natoli, Massimo Donà, Paolo Becchi – è curato dal direttore scientifico del Festival, Francesca Nodari ed edito dalla Compagnia della Stampa. Incalzato dalle domande penetranti di Ilario Bertoletti, direttore editoriale della Morcelliana e della Scuola, Natoli si è soffermato sulla dimensione multiversa del corpo che, nella sua messinscena, per riprendere un’espressione di Nancy, è lì, in quanto apertura verso ed esposizione a. «La corporeità è finitezza e unicità.

Il corpo è Leib e insieme corpo in azione, poiché la vita è aristotelicamente prassi e non poiesis. Ma il corpo – continua il filosofo – è insieme vissuto e tecnologico. Quando appare in quest’ultima forma? Soltanto quando è cadavere, in quanto scomponibile e divisibile in pezzi, e nelle ristrettezza del dolore. Nel patire il soggetto non sente il mondo, ma sente il corpo o una parte di questo, che duole, che fa male.

Oggi, peraltro, ci troviamo in una situazione in cui il corpo può essere integrato ricorrendo a protesi, che possono esse stesse farsi carne e che, in taluni casi, possono, in certo senso, essere riassorbite e annullate nell’azione. Questo può accadere perché esiste la continuità della memoria e l’auto-riferimento dell’io a se stesso. L’unità dell’io non è mai sostituibile: il corpo è mio perché è generato dall’io. Ma se è vero che le protesi possono allungare la vita, siamo sicuri che questo essere rimessi in sesto sia sufficiente per sviluppare relazioni feconde?».

Natoli,poi, sostando sulle caratteristiche proprie del corpo incarnato – da un lato depositario di una “bisognosità” che lo spinge verso un fuori – il corpo ha fame, ha sete – dall’altro chiamato, nel suo essere relazione, al bisogno dell’altro in quanto altro, ha insistito sulla finitezza del soggetto. «La nostra vita non è nostra perché ci è data e ci è tolta. In che termini, allora, posso dire che questa sia la mia vita? Mio è il modo in cui la governo e la metto a frutto. Ma questo può accadere soltanto se costruisco relazioni feconde. Ha senso un corpo rifatto che dimentica la morte e che cade nell’illusione auto prolettica, che lungi dal cercare la relazione, cerca la prestazione? La morte ci rattrista perche la vita vuole durare e perché ci sta a cuore il mondo. Cosa fare dinnanzi a questa nostro sapere di morire? Augurarsi di durare nella memoria degli altri».

Al termine della serata è stato annunciato, in una sala gremita e alla presenza di numerose autorità, il tema sul quale sarà incentrata la VI edizione del Festival Filosofi lungo l’Oglio: la felicità.

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