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Lunedì, 25 Giugno 2018 03:00

Umberto Galimberti: «I giovani, generazione del nichilismo attivo»

Umberto Galimberti Umberto Galimberti

Ascoltare i giovani, ammonisce Umberto Galimberti, è molto più utile che leggere o ascoltare «le considerazioni di psicologi, insegnanti, educatori che se ne occupano». Il noto psicologo e filosofo ha dialogato con molti di loro attraverso le lettere inviate alla rubrica che dal 1996 cura su «D», l'inserto femminile de la Repubblica.

Ora ne ha raccolte e commentate una settantina nel libro «La parola ai giovani» (Feltrinelli, 336 pagine, 16,50 euro). Lo presenterà domani, martedì, alle 20.45 nel teatro della Scuola media di Concesio, nell'ambito del festival Rinascimento Culturale.

Prof. Galimberti, lei parla di una «generazione del nichilismo attivo». Cosa la caratterizza?

Il futuro che la nostra cultura prospetta ai giovani non retroagisce come motivazione capace di sostenere l'impegno richiesto in vista di una professione a cui ci si sente chiamati. In questa atmosfera nichilista, si svalutano tutti i valori che conoscevamo e che agivano come coefficienti sociali condivisi dalla comunità. I giovani che mi scrivono sia chiaro che si tratta solo di un piccolo campione sono però nichilisti attivi: non negano di vivere in un'epoca nichilistica, ma non si arrendono. La loro strategia consiste nel commisurare i propri sogni, a cui non rinunciano, ai dati di realtà. Ma chiedono agli adulti: non ci spezzate le ali, non trattate i nostri sogni come illusioni.

Hanno uno sguardo diverso dal nostro sui temi di cui si parla in questi giorni: gli stranieri, il razzismo, il terrorismo?

Hanno ideali molto forti. Chiedono: perché voi ritenete che abbiamo fatto bene ad abolire la tortura solo perché non produce gli effetti sperati? Perché non vi date la pena di immaginare cosa accade nei luoghi in cui piovono le bombe, e vi limitate alle statistiche sui morti? Una delle ragioni per cui hanno poca fiducia nei loro genitori è perché dicono: ci rappresentate soltanto gli ideali del denaro e dell'immagine sociale, ma a noi queste cose non interessano.



Parla di «fallimento dell'istruzione» e «trionfo dell'ignoranza». La nostra scuola è messa così male?

Malissimo. Basti ricordare che, secondo l'Ocse, in Europa gli italiani sono all'ultimo posto nella comprensione di un testo scritto. La scuola è un disastro da 40 anni: sono convinto che se abbiamo questa situazione politica è perché ormai la gente vive di reazioni emotive, senza nessuna riflessione critica rispetto a quello che sente in televisione. Mettiamo in cattedra insegnanti abilitati all'insegnamento soltanto sulla base della competenza nella loro materia, e che magari non sanno comunicare o affascinare. Se mancano queste doti naturali, empatiche, non educhi nessuno: stai semplicemente demotivando i ragazzi.

E quando entrano nel mondo del lavoro sono assoggettati alla razionalità della tecnica, che «persegue il massimo degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi»...

È richiesto loro di diventare semplici esecutori di azioni descritte e prescritte dall'apparato tecnico, regolato dai soli criteri dell'efficienza e della produttività. In tale sistema, la possibilità di autorealizzarsi nella quale, secondo Aristotele, consiste la felicità è uguale a zero. L'identità è un dono sociale: ce la dà il riconoscimento che otteniamo dagli altri. Per avere il riconoscimento del sistema, per essere all'altezza delle aspettative dell'apparato di appartenenza, bisogna essere sempre connessi, lavorare il sabato e la domenica, essere più bravi del tuo vicino di lavoro che ormai è diventato il tuo competitore.

Lei si chiede: «Che futuro ha una società che non investe sui giovani?». Per noi vede un futuro nero?

Le cose non sono sempre rimediabili: quanti popoli sono nati, cresciuti e poi decaduti. Possiamo anche regredire, e a me la società europea di oggi pare già molto regredita. Come potrebbero nascere un Kant, un Beethoven, un Leonardo da Vinci? Stiamo già decadendo. Quanti vocaboli hanno in bocca i nostri ragazzi? Duecento, se va bene; allora possono pensare limitatamente a quel numero di parole. Dal punto di vista biologico, poi, siamo la popolazione più debole della terra, perché siamo i più tecnicamente assistiti. Stiamo tramontando, come è inscritto nel nostro nome: occidente significa tramonto.

In luglio a Villachiara e in settembre in città.
Prossimamente, Umberto Galimberti sarà per tre volte nel Bresciano. Il primo incontro è in programma domani, alle 20.45, nel teatro della Scuola media di Concesio: il filosofo, ospite del festival Rinascimento Culturale, parlerà del suo ultimo libro, «La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo». «Cosa condividono genitori e insegnanti con i nostri ragazzi?» è l'intervento che Galimberti terrà al festival Filosofi lungo l'Oglio, mercoledì 11 luglio alle 21.15 nell'azienda Le Vittorie di Villachiara. Venerdì 14 settembre, infine, lo studioso sarà al festival LeXGiornate, alle 18, nell'Aula magna della Cattolica di Brescia.



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