Skip to main content
Giovedì, 13 Luglio 2017 19:16

L’ARTE TERAPEUTICA DI TOCCARE IL CUORE PER GUARIRE

Il prof. Armando Savignano occupa il cuore della chiesa di S. Maria Assunta, l’antica pieve di Oriano. Non si chiamava ancora San Paolo, Oriano con Pedergnaga, Cremezzano, Scarpizzolo, avrebbe costituito il nuovo nome del paese ad onore di Giovan Battista Montini, il pastore bresciano diventato Papa proprio nel 1964.

Si è nella chiesa della Prima Comunione di Antonia Nodari, madre di Francesca, leader dei Filosofi lungo l'Oglio, un ritorno a casa per tutti, riflette il professore, che ragiona sul tema, «Ascoltare e toccare il cuore». Savignano raccoglie, nella sua riflessione, la profondità estetica di un filosofo della morale ispirato a una semplicità stilistica subito evidente nella sottrazione di barocchismi, nel colpire al cuore la questione. Con il professore con cattedra universitaria a Trieste ci si trova a casa, ci si sente toccare il cuore, subito, nella comprensione diretta della sua ricerca. È un dono grande che presto lui disporrà al Senato della Repubblica per una lezione di Bioetica. La grossa crepa a meridione della antica Pieve, metaforicamente rappresenta la ferita professionale e morale di quel medico che non tocca più il paziente. Savignano usa la metafora, appunto, del curante con il paziente, il gran senso del toccare la persona, dell’ascoltarla, l’indispensabilità di una tecnologia sempre più ricca e qualche volta tronfia. La robotica non sostituisce la palpazione, il tocco, l’auscultazione reciproca tra medico e paziente. Un conto è visionare il dentro del corpo con intrusioni «disumane» indispensabili e un altro conto è assistere e curare il paziente, la persona con lo sguardo, la parola, la garanzia di mettergli a disposizione un rifugio al dolore e alla pena dell’incertezza. Il corpo si esamina prima della visita, il medico curante ha molte trasformazioni: è il filosofo, è il sindaco di San Paolo, Giancarla Zernini, è il popolo del festival, è il silenzio della Pieve, è il capriccio intermittente del cielo, è l’attesa di un altro incontro. Savignano invita ad armonizzare queste sinfonie dell’uno verso l’altro attraverso il tatto, che sia umile e serio, che valga l’intensità ancestrale del suo bene, che non si smetta di toccare l’altro a patto di un’intesa, di un prendersi con le dita nella coscienza di un accadimento sostanziale. Toccare come patto, come atto di una mistica popolare, di una carezza confortante, di una compagnia in ogni ora della nostra esistenza. Il popolo del Festival si tocca, con il cuore, lo sguardo, spesso con una stretta di mano, un bacio leggero, una confidenza crescente in questi dodici anni di vita culturale. Savignano usa un modo semanticamente evidente: con-tatto con tatto. Non tanto prudenza nell’avvicinamento, nell’aggancio, nell’atterraggio sul pianeta individuale e irripetibile dell’altra persona, ma una certa rispettabile prudenza, appunto, un certo tatto. In fondo, ognuno di noi è medico di sé, se solo si pone all’ascolto dell’altro, con silenzio e lingua reciprocamente terapeutica, per il corpo e per la mente. Altrimenti, il rischio è il ricorso alla ricerca di un pulsante, di un ultimo pulsante in grado di dissolvere la bellezza del creato millenario pervaso da una luce. Distribuita, questa luce, giorno per giorno, dagli sguardi di madri e padri, di figli e dei figli dei figli fino a noi.

Pietosamente, nell’ultima speranza.

Like what you see?

Hit the buttons below to follow us, you won't regret it...