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Sabato, 07 Febbraio 2015 01:57

RICORDARE SEMPRE DI NUOVO

«Per millenovecento anni la Chiesa ha definito la sua relazione agli ebrei in una sola parola: missione. Ciò che testimoniano ora è lìinizio di un cambiamento su quella relazione, una transizione dalla missione al dialogo».

A. J. Heschel, From Mission to Dialogue, in Conservative Judaism

È atteso lunedì 9 febbraio, a partire dalle ore 20.45, nella Rocca San Giorgio di Orzinuovi (Bs), l’intervento di Mons. Luigi Nason – esperto del dialogo-ebraico cristiano e illustre biblista – che proporrà una riflessione approfondita sul passaggio, se così si può dire, Dalla teologia della sostituzione alla ricerca delle radici comuni. Un tema, questo, che diviene centrale nella disamina su vecchio e nuovo antisemitismo e che ha costituito uno dei punti nevralgici nell’ambito dello storico convegno organizzato dalla CEI lo corso novembre sul dialogo-ebraico cristiano, che ha registrato un parterre di ospiti d’eccezione e di partecipanti accorsi da tutta Italia. Di qui l’impegno– che facciamo anche nostro – di rafforzare il dialogo-ebraico cristiano a partire dal monito contenuto nel documento Nostra Aetate (di cui quest’anno ricorrono i cinquant’anni della pubblicazione) e da un altro testo centrale, che è bene menzionare sottraendolo a un sempre possibile oblio, che annullerebbe proprio ciò che stiamo tentando di perseguire: mettere capo ad una transitività della memoria.

Il testo in oggetto – firmato nel 1988 dalla Commissione pontificia per i rapporti religiosi con l’Ebraismo – porta il seguente titolo: Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah. A ciascun di noi il compito di far risuonare, prestando un ascolto sincero, quelle parole che rilette a distanza di tempo, ci raggiungono nella loro freschezza, rivelandosi, purtroppo di estrema attualità: si pensi all’imperversare del terrorismo islamico, alla persecuzione dei cristiani d’Oriente, ai tentativi di negazionismo che vanno dal misconoscimento della Shoah all’oscuramento del centenario della tragedia armena.

Così si legge: «Non si può ignorare la differenza che esiste tra l'antisemitismo, basato su teorie contrarie al costante insegnamento della Chiesa circa l'unità del genere umano e l'uguale dignità di tutte le razze e di tutti i popoli, ed i sentimenti di sospetto e di ostilità perduranti da secoli che chiamiamo antigiudaismo, dei quali, purtroppo, anche dei cristiani sono stati colpevoli. L'ideologia nazionalsocialista andò anche oltre, nel senso che rifiutò di riconoscere qualsiasi realtà trascendente quale fonte della vita e criterio del bene morale. Di conseguenza, un gruppo umano, e lo Stato con il quale esso si era identificato, si arrogò un valore assoluto e decise di cancellare l'esistenza stessa del popolo ebraico, popolo chiamato a rendere testimonianza all'unico Dio e alla Legge dell'Alleanza. A livello teologico non possiamo ignorare il fatto che non pochi aderenti al partito nazista non solo mostrarono avversione all'idea di una divina Provvidenza all'opera nelle vicende umane, ma diedero pure prova di un preciso odio nei confronti di Dio stesso. Fu questa ideologia estrema che divenne la base delle misure intraprese, prima per sradicare gli ebrei dalle loro case e poi per sterminarli.

La Shoah fu l'opera di un tipico regime moderno neopagano. Il suo antisemitismo aveva le proprie radici fuori del cristianesimo e, nel perseguire i propri scopi, non esitò ad opporsi alla Chiesa perseguitandone pure i membri. Ma ci si deve chiedere se la persecuzione del nazismo nei confronti degli ebrei non sia stata facilitata dai pregiudizi antigiudaici presenti nelle menti e nei cuori di alcuni cristiani. Il sentimento antigiudaico rese forse i cristiani meno sensibili, o perfino indifferenti, alle persecuzioni lanciate contro gli ebrei dal nazionalsocialismo quando raggiunse il potere? Ogni risposta a questa domanda deve tener conto del fatto che stiamo trattando della storia di atteggiamenti e modi di pensare di gente soggetta a molteplici influenze. Ancor più, molti furono totalmente ignari della «soluzione finale» che stava per essere presa contro un intero popolo; altri ebbero paura per se stessi e per i loro cari; alcuni trassero vantaggio dalla situazione; altri infine furono mossi dall'invidia. Una risposta va data caso per caso e, per farlo, è necessario conoscere ciò che precisamente motivò le persone in una specifica situazione.

All'inizio, i capi del Terzo Reich cercarono di espellere gli ebrei. Sfortunatamente, i Governi di alcuni Paesi occidentali di tradizione cristiana, inclusi alcuni del Nord e Sud America, furono più che esitanti ad aprire i loro confini agli ebrei perseguitati. Anche se non potevano prevedere quanto lontano sarebbero andati i gerarchi nazisti nelle loro intenzioni criminali, i capi di tali nazioni erano a conoscenza delle difficoltà e dei pericoli a cui erano esposti gli ebrei che vivevano nei territori del Terzo Reich. In quelle circostanze, la chiusura delle frontiere all'immigrazione ebraica, sia che fosse dovuta all'ostilità antigiudaica o al sospetto antigiudaico, a codardia o limitatezza di visione politica o a egoismo nazionale, costituisce un grave peso di coscienza per le autorità in questione. Nelle terre dove il nazismo intraprese la deportazione di massa, la brutalità che accompagnò questi movimenti forzati di gente inerme, avrebbe dovuto suscitare il sospetto del peggio. I cristiani offrirono ogni possibile assistenza ai perseguitati, e in particolare agli ebrei? Molti lo fecero, ma altri no.

Coloro che aiutarono a salvare quanti più ebrei fu loro possibile, sino al punto di mettere le loro vite in pericolo mortale, non devono essere dimenticati. Durante e dopo la guerra, comunità e personalità ebraiche espressero la loro gratitudine per quanto era stato fatto per loro, compreso anche ciò che Pio XII aveva fatto personalmente o attraverso suoi rappresentanti per salvare centinaia di migliaia di vite di ebrei. Molti Vescovi, preti, religiosi e laici, sono stati per tale ragione onorati dallo Stato di Israele. Nonostante ciò, come Papa Giovanni Paolo II ha riconosciuto, accanto a tali coraggiosi uomini e donne, la resistenza spirituale e l'azione concreta di altri cristiani non fu quella che ci si sarebbe potuto aspettare da discepoli di Cristo. Non possiamo conoscere quanti cristiani in paesi occupati o governati dalle potenze naziste o dai loro alleati, constatarono con orrore la scomparsa dei loro vicini ebrei, ma non furono tuttavia forti abbastanza per alzare le loro voci di protesta. Per i cristiani questo grave peso di coscienza di loro fratelli e sorelle durante l'ultima guerra mondiale deve essere un richiamo al pentimento». E se è vero, come scrisse Scholem che «solo nel lamento l’oscurità risplende», dinnanzi alla nebulosa situazione in cui versa la nostra contemporaneità, occorre affermare con forza quanto scrisse Hermann Cohen nel 1917, nel rispondere all’ennesima presa di posizione antiebraica: «Non possiamo sottrarci al dovere di prendere sempre di nuovo la parola e di scendere in campo contro la menzogna». E d’altro canto, qual è il ruolo della memoria, se non quello di prestar fede a quel ricordare «sempre di nuovo»?

CHI E' MONS. LUIGI NASON

LUIGI NASON, già responsabile per la Formazione biblica nell’Arcidiocesi di Milano e collaboratore dell’Ufficio Ecumenismo e dialogo per i rapporti con l’ebraismo, attualmente continua la sua attività di biblista, specializzato nella ricerca sulle Scritture ebraiche (Primo Testamento) e nello studio della tradizione interpretativa ebraica, tenendo lezioni in diverse Scuole bibliche e conferenze in Italia e all’estero. Dirige la collana «Cristiani ed ebrei» delle Edizioni Dehoniane di Bologna. Oltre che dell’Associazione Biblica Italiana, è membro della Society of Biblical Literature e socio dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo. Tra i suoi testi più recenti ricordiamo: Lo Shabbat, un santuario nel tempo, in «Sefer. Studi-Fatti-Ricerche» 90 (2000), pp. 3-7; Punti fermi (o quasi). Una teshuvà delle Chiese cristiane nei confronti di Israele, in Bottoni G. - Nason L. (edd.), Secondo le Scritture. Chiese cristiane e popolo di Dio, EDB, Bologna 2002, pp. 255-318; Oltre la Dei Verbum: la lettura ebraica della Scrittura, in «Parola Spirito e Vita» 58 (2008), pp. 129-147; Il dialogo ebraico-cristiano, in «Sefer. Studi-Fatti-Ricerche»121 (2008), pp. 4-7; Il settimo giorno, in Id. (ed.), Il giorno del Signore. Il settimo giorno e il primo dopo il sabato, Centro Ambrosiano, Milano 2009, pp. 11-20; Il settimo giorno e il primo dopo il sabato, in «Sefer. Studi-Fatti-Ricerche»129 (2010), pp. 4-6; Oltre la Dei Verbum. I cristiani e la lettura ebraica della Scrittura, in A. Luzzatto – L. Nason, In ascolto delle Scritture di Israele, Prefazione del card. C.M. Martini («Cristiani ed ebrei» 3), EDB, Bologna 2012, pp. 75-132; Tempo di Dio, tempi dell’umanità (Es 31,13-17) [II], in «Sefer. Studi-Fatti-Ricerche»138 (2012), pp. 7-9; Di fronte alla Bibbia. Il lettore nell’officina del racconto, in A. Gianni (ed.), Il grande alfabeto dell’umanità, Imago veritatis, Associazione S. Anselmo, Milano 2013, pp. 35-44; Il rispetto di sé nel Primo Testamento, in «Servizio della Parola »450 (2013), pp. 82-89; Mio servo tu sei, Israele (Is 49,3)», in «QOL» 164 (2014), pp. 8-12; Tempo di Dio, tempi dell’umanità (Es 31,13-17) [I], in «Sefer. Studi-Fatti-Ricerche» 137 (2012), pp. 3-4; Consolate, consolate il mio popolo. La parola del nostro Dio si realizza sempre (Is 40,1-11)», in «QOL» 162/163 (2014), pp. 12-16 Post

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