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Giovedì, 01 Dicembre 2011 01:00

Dialogo con Paolo Becchi - Dignità del morire

Il corpo è unicamente il corpo di questo e di nessun altro cervello, così come il cervello è unicamente il cervello di questo e di nessun altro corpo. […] Ciò che è sotto il controllo centrale del cervello, l’intero corpo, è così individuale, così tanto “me stesso”, così unicamente appartenente alla mia identità (impronte digitali! reazione immunitaria!), così non intercambiabile come il cervello stesso che lo controlla (e reciprocamente ne è controllato). La mia identità è l’identità dell’organismo intero e interamente individuale, anche se le funzioni superiori della persona hanno la loro sede nel cervello. Come potrebbe altrimenti un uomo amare una donna e non semplicemente il suo cervello? Come potremmo altrimenti perderci osservando un volto? Essere toccati dall’incanto di una figura? È il volto, è la figura di questa persona e di nessun’altra al mondo. H. Jonas, Against the Stream

Paolo Becchi (1) è noto al grande pubblico per aver riportato al centro del dibattito contemporaneo la definizione di morte cerebrale e per aver, de facto, riportato in auge la questione della dignità umana. Un principio questo, che dopo il “principio speranza” di Ernst Bloch e quello della “responsabilità” di Hans Jonas, dopo l’orrore della seconda guerra mondiale, si è trasformato da ideale etico in «principio giuridico presente nella Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo (1948)». E se stupisce il fatto che la dignità umana sia divenuta un concetto chiave sia nel dibattito pubblico europeo, soprattutto nell’area germanofona, sia in quello angloamericano, mentre nel nostro Paese il dibattito è solo agli albori; Becchi invita il lettore a prendere atto della centralità del principio dignità umana sia per gli interrogativi filosofico–giuridici che suscita sia per le cruciali implicazioni bioetiche sottese e il relativo conflitto di interpretazioni «proprio perché in quel principio è in gioco la destinazione dell’uomo». Crediamo, dunque, che questo testo costituisca una sorta di point de depart per comprendere a fondo l’ultima fatica di Paolo Becchi: Il testamento biologico. Sui limiti delle «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento» (pp. 120, 11 euro, Morcelliana, Brescia 2011). Per l’occasione lo abbiamo incontrato.

Perché dopo i lavori sulla morte cerebrale, un testo sul testamento biologico?
Potrei rispondere, per usare un termine oggi di moda, per indignazione. Quando cominciai a riflettere sulla nuova definizione di morte che fa riferimento al criterio neurologico incontrai una grande resistenza; molti per la verità non la ritenevano più scientificamente adeguata, ma utilissima per il prelievo “a cuore battente”. Il fatto era che non bisognava dirlo. La cosa mi indignava, come mi indigna l’attuale disegno di legge. Che senso ha fare una legge a tal punto restrittiva da dubitare che qualcuno ne farà mai uso?

Il primo punto da Lei toccato nel saggio è il significato di tutela della vita e di autodeterminazione. Può approfondire questo importante aspetto?
È senz’altro il punto decisivo. Vita e autodeterminazione sono entrambi principi riconosciuti dal nostro ordinamento e la legge in discussione avrebbe dovuto cercare un giusto bilanciamento fra entrambi. Invece tutto il peso è spostato dalla parte della difesa della vita, a tal punto da imporre il dovere di vivere anche contro la propria volontà. Così rischiamo di trasformare la vita in un feticcio; non è la vita in sé ad essere sacra, ma la dignità umana che ci impone il dovere di rispettare la persona in tutte le fasi della sua esistenza, anche in quella finale. L’inviolabilità della persona non implica che essa non possa disporre del proprio corpo, ciò che dovrebbe rimanere indisponibile sono semmai i fondamenti genetici della nostra esistenza corporea, ma questo non ha niente a che fare con la richiesta di un malato terminale. L’equilibrio che si sarebbe potuto raggiungere era il seguente: ribadire il principio, peraltro già previsto dalla nostra costituzione, della possibilità di rifiutare le cure e vietare l’intervento diretto e attivo volto all’uccisione, sia pure consensuale, del paziente. E, invece, si è fatto di ogni erba un fascio...

Cosa significa la distinzione tra ordinarietà e straordinarietà dei mezzi, da una parte, e proporzionalità o sproporzionalità dei mezzi, dall’altra? Proporzionalità o sproporzionalità del trattamento, non dei mezzi.
Se male non mi appongo è la teologia morale cattolica ad aver prima avvertito l’importanza della distinzione tra mezzi ordinari e mezzi straordinari. Pio XII l’ha sostenuta in un celebre discorso rivolto ai medici. I mezzi ordinari sono da ritenersi sempre obbligatori, quelli straordinari no. Quella distinzione però, pur innovativa quando fu introdotta – basti pensare che essa è stata ripresa favorevolmente anche da Hans Jonas – , oggi viene utilizzata per considerare l’alimentazione e l’idratazione sempre e comunque come mezzi ordinari, che quindi non è mai lecito sospendere. Se invece di focalizzare tutta l’attenzione sul mezzo, la spostiamo sulla proporzionalità o sproporzionalità del trattamento, allora oggetto di valutazione non è più il mezzo in quanto tale, ma la sua adeguatezza in relazione alla situazione data. Mi spiego con un esempio estremo: quando la morte di un paziente è ormai imminente, anche la mera somministrazione di un antibiotico può essere considerata un trattamento sproporzionato.

Un altro punto controverso del disegno di legge è il consenso informato. Può spiegarci perché?
Il disegno di legge richiama opportunamente i tre pilastri su cui oggi, almeno in linea di principio, si regge il consenso, vale a dire che esso deve essere esplicito e attuale, preceduto da una corretta informazione e sempre revocabile. Trascuriamo qui il fatto che, affinché il consenso sia valido, risulta necessaria la capacità legale e quindi tutta una serie di soggetti avranno difficoltà ad esprimerlo (penso, ad esempio, ai minori che hanno diritto ad essere ascoltati, ma il consenso alla fine è espresso dai soggetti esercitanti la potestà parentale o la tutela) e concentriamoci sulla situazione d’urgenza in cui è a rischio la vita del paziente. Ammettiamo che per motivi religiosi un paziente non voglia ricorrere alla trasfusione di sangue: ebbene, se quel paziente si trova in pericolo di vita dovrà essere sottoposto ad essa coattivamente.

E veniamo al carattere più o meno vincolante delle dichiarazioni anticipate di trattamento, dove si configura, stante la lettura del disegno di legge, il rischio di una tirannia della classe medica nei casi di fine vita...
Anche questo, sicuramente, non era un nodo facile da sciogliere. Un’assoluta vincolatività delle dichiarazioni anticipate non esiste da nessuna parte, ma da noi esse avranno un signicficato meramente orientativo. Resta nelle mani del medico il potere di rispettarle o meno (motivando le proprie decisioni), mani per di più ben legate dal legislatore che insiste sull’assoluta vincolatività della sacralità della vita... Eppure anche qui era possibile trovare una soluzione di compromesso, considerando le direttive in linea di principio vincolanti, anche se il medico avrebbe potuto discostarsi da esse motivando le ragioni della sua decisione. In questo caso una commissione avrebbe dovuto stabilire se vi fossero ragioni convincenti per accettare la decisione del medico o se il paziente dovesse essere assegnato ad un altro medico.

Per finire, il tema delicatissimo dell’idratazione e alimentazione artificiale...
Come dice Lei, in effetti, il tema è delicato ed io offro due possibili soluzioni: una esterna alla legge, nel senso che pone radicalmente in discussione l’opzione del legislatore; l’altra interna, nel senso che potrebbe essere percepita dal disegno di legge senza stravolgere le intenzioni. Si può sostenere che una legge dovrebbe garantire a qualsiasi cittadino il diritto di manifestare le proprie volontà anche in merito a idratazione e nutrizione artificiali ritenendoli, al pari della respirazione artificiale, un trattamento sanitario di sostegno vitale. Credo che oggi sia arduo raggiungere politicamente questo obiettivo, ma anche ammesso il divieto previsto dalla legge, si potrebbe riformularlo prefigurando almeno un’eccezione: la sospensione è ammessa quando la prosecuzione del trattamento di sostegno vitale assume la forma di un trattamento sproporzionato. A stabilirlo dovrà essere una commissione costituita ad hoc. Beninteso, di per sé idratazione e nutrizione non sono interventi di carattere sproporzionato, ma possono diventarlo quando, con il passare degli anni, la loro prosecuzione non consente altro che un’esistenza vegetativa.

Lei conclude auspicando un ripensamento del legislatore. Lo ritiene concretamente possibile?
... Le vie del Signore sono infinite e, in fondo, basterebbe introdurre tutte (o quasi) le modifiche che ho concretamente suggerito nella conclusione del mio libretto per avere una buona legge. Ma non mi faccio illusioni. Chi vuole la legge non è disponibile a migliorarla (anzi il testo finale è, per molti versi, peggiore di quello iniziale); chi invece non la vuole non è, neppure, disposto a modificarla: aspetta la sua approvazione per iniziare subito la campagna referendaria. Nel tal caso sono convinto che si raggiungerà il quorum e la legge sarà abrogata. Occorre, tuttavia, tenere conto del cambiamento dell’attuale situazione politica: poiché questa legislatura non è caduta, questo periodo potrebbe essere buono, non tanto per abbandonare il tema, ma per ridiscuterlo seriamente trovando almeno alcuni punti di convergenza, come quelli indicati nelle mie proposte. Il nostro Paese ha bisogno di una legislazione in merito: piuttosto che avere una legge come quella progettata, sarebbe, in effetti, meglio non averla.

Ordinario di Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Genova e visiting professor presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Lucerna, Paolo Becchi ha curato l’edizione italiana di innumerevoli opere di Hans Jonas. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Oltre le righe. Hegel e il dibattito intorno alle sue lezioni, Editoriale Scientifica, Napoli, 1996; Questioni vitali. Eutanasia e clonazione nell’attuale dibattito bioetico, Loffredo, Napoli 2001; in collaborazione con R. Barcaro, ha curato l’antologia Questioni mortali. L’attuale dibattito sulla morte cerebrale e il problema dei trapianti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2004; La vulnerabilità della vita. Contributi su Hans Jonas, La Scuola di Pitagora, Napoli 2008; Quando finisce la vita. La morale e il diritto di fronte alla morte, Aracne, Roma 2009; Giuristi e principi. Alle origini del diritto moderno, Aracne, Roma 2010; presso la Morcelliana ha pubblicato: Morte cerebrale e trapianto di organi. Una questione di etica giuridica, 2008; Il principio dignità umana, 2009; ha curato, inoltre, l’edizione di C. Smith, La tirannia dei valori, 2008 e il celebre saggio di Hans Jonas, Morire dopo Harvard, 2009. Sempre per Morcelliana ha pubblicato: Hans Jonas, un profilo 2010 e Kant diverso. Pena, natura, dignità, 2011. Paolo Becchi ha tenuto conferenze in varie Università italiane e straniere, fa parte del consiglio scientifico dell’Interdisziplinäres Zentrum Medizin–Ethik–Recht presso la Martin–Luther–Universität di Halle (R.F.T.) ed è membro del comitato editoriale delle riviste: «Materiali per una storia della cultura giuridica» e «Rechtsphilosophische Hefte».

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