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Martedì, 20 Febbraio 2018 05:51

DISUGUAGLIANZE - IL TEMA DELLA I EDIZIONE DEL FESTIVAL DELL’ASCOLTO

Si parlerà di “Diseguaglianze” alla prima edizione del Festival dell’Ascolto che si terrà in Lombardia dal 7 al 23 marzo. Tra i relatori: Marc Augé, Enzo Bianchi, Maria Rita Parsi, Fabio Roia, Chiara Saraceno e il cardinale Francesco Coccopalmerio.

Non solo lectio magistralis quindi, ma una serie di incontri in cui il tema delle “Diseguaglianze” sarà declinato nelle sue molteplici accezioni. Tra gli ospiti e relatori previsti oltre all’antropologo Marc Augé, del quale il 7 marzo a Milano sarà presentato in anteprima nazionale il suo ultimo libro “Gratuità. Per il gusto di farlo!” (Mimesis editore), ci saranno Enzo Bianchi, Fondatore della Comunità Monastica di Bose (8 marzo - San Donato), la psicologa Maria Rita Parsi, il magistrato Fabio Roia (14 marzo - Cesano Boscone), la sociologa Chiara Saraceno (20 marzo – Milano) e il Cardinale Francesco Coccopalmerio (23 marzo - Gorgonzola).

All’inizio di ogni incontro ci sarà qualcuno chiamato a testimoniare il proprio disagio e da lì il relatore declinerà il tema prescelto per stimolare il dibattito. Il format riprende quello itinerante del Festival Filosofi lungo l’Oglio. Saranno molteplici le tappe dell’area metropolitana di Milano coinvolte nel progetto al fine di costituire una risposta concreta ai disagi dell’odierna società ad alta complessità e che individua nell’utopia dell’educazione di cui parla il grande antropologo Marc Augé, una chance sulla quale scommettere.

PRESENTAZIONE DELLA 1a EDIZIONE DEL FESTIVAL DELL’ASCOLTO

A cura della direttrice Francesca Nodari

Il Festival dell’Ascolto è una manifestazione – in programma dal 7 al 23 marzo – promossa dalla Fondazione Filosofi lungo l’Oglio in collaborazione con i Comuni di Milano, Cesano Boscone, San Donato e Gorgonzola, la Casa della carità di Milano, la Caritas ambrosiana e la Caritas della Diocesi di Brescia. Si tratta di un Festival innovativo nel panorama culturale italiano poiché, se per un verso, fa proprio il felice binomio luogo-pensiero che la kermesse eredita dal Festival Filosofi lungo l’Oglio promosso da ben 13 anni in circa 30 comuni del bresciano dall’omonima fondazione, dall’altro, fa leva su una convinzione: promuovere la pratica dell’ascolto dando la parola a coloro che, a vario titolo e a più livelli, si fanno testimoni di vissuti segnati dal disagio esistenziale, sociale, economico, morale. Un disagio dai mille volti che spesso incontra indifferenza, freddezza, emarginazione nel quotidiano tumulto delle nostre vite di corsa. Spezzare il circolo vizioso dell’iperindividualismo e di un soggetto egocentrato è possibile se si dà corso a nuove pratiche di vita così come a offerte culturali che mettono al centro chi è sempre stato ai margini e da lì, da quell’esperienza di vita, partire, se così si può dire, per riflettere – grazie all’intervento dei maggiori pensatori contemporanei: Da Marc Augé a Enzo Bianchi, da Maria Rita Parsi a Fabio Roia in dialogo con Francesca Nodari, da Chiara Saraceno al Cardinale Francesco Coccopalmerio – sulla parola chiave che, per l’edizione 2018, sarà disuguaglianze. Tema questo che chiama in causa nozioni di prim’ordine: dalla responsabilità alla dignità dell’essere umano, dalla gratuità alla messa in discussione del particulare guicciardiano. Per non dire delle profonde implicazioni che un processo irreversibile quale è quello della globalizzazione porta con sé: come a ragione sostiene il maggiore filosofo della religione vivente, Bernhard Casper, è la prima volta nella storia dell’umanità, che l’esserci di carne e di sangue si trova a vivere come se abitasse in una sola città. Un mondo-città che, per certi versi, si riflette nello specchio della città-mondo con il risultato che «i non luoghi – insegna Augé – sono oggi il contesto di tutti i luoghi possibili». Di qui, per un verso, l’abbattimento delle coordinate spazio-temporali, l’accelerazione dei trasferimenti di cose e persone, la possibilità di comunicare in tempo reale; per l’altro il logorio del simbolico, la commistione con il virtuale, l’imperversare del progresso tecnologico «che identifica ogni individuo come potenziale consumatore», la sensazione di disorientamento, di solitudine e di paura che attanaglia l’uomo del XXI secolo. Tonalità emotive, queste, che riflettono un preoccupante incremento delle disuguaglianze tra i più ricchi dei ricchi e più poveri dei poveri nella nostra società planetaria. Sperequazioni sociali ed economiche che fanno segno ad altrettante sperequazioni in termini di conoscenza. Come scrive ancora Augé in Un altro mondo è possibile: «Lo scandalo della profonda disuguaglianza nell’accesso ai beni materiali e alla conoscenza è, al di là di qualunque considerazione morale, uno scandalo esistenziale ed essenziale: chiama in causa, in ciascuno degli individui che ne sono vittime o testimoni, la porzione di umanità generica senza il riconoscimento della quale non c’è altro che solitudine o dittatura di culture chiuse in se stesse per il solo beneficio di pochi. Rifiutare l’umanità ad alcuni vuol dire ucciderla in tutti: è questo il rischio che il progresso obiettivo del sapere dovrà combattere, di fronte tanto alle follie omicide degli uni quanto alla miopia egoista degli altri». Del resto se l’1% della popolazione mondiale possiede il 46% delle risorse disponibili e se il 10% ne possiede l’80% e il restante 50% non possiede nulla, non si può certo concludere che non sia senza conseguenze il fatto che 70 milioni di persone detengano una quantità di ricchezze pari a quella che hanno i restanti sette miliardi di persone. Dati inesorabili che ci pongono dinnanzi ad una necessaria presa di consapevolezza che, ad una attenta disamina fenomenologica, ci conduce ad una duplice presa d’atto: per un verso, ci troviamo, come scrive il noto sociologo tedesco Ulrich Beck, nel bel mezzo di una metamorfosi del mondo nella quale «il Neanderthal (la generazione anziana) e l’Homo cosmopoliticus (le nuove generazioni) vivono in un mondo in cui la disuguaglianza è ormai socialmente e politicamente esplosiva», per l’altro nella frenetica corsa all’individualizzazione ove «i bisogni individuali sono l’aspirazione universale, e la solidarietà l’eccezione» si sta consumando, sotto gli occhi indifferenti dei molti, quello scandalo per antonomasia che Luigi Zoja ha chiamato senza indugio e a ragione: morte del prossimo.

La società sembra impregnata e insieme mossa dalla formula hobbesiana dell’«homo homini lupus», mentre la pietas, che per Rousseau caratterizzava l’uomo naturale, appare come un habitus ormai dismesso dall’uomo «nevrotizzato», avrebbe detto Pietro Piovani, del XXI secolo ormai costretto, come ha teorizzato Augé, in una delle tre classi dominanti: quella dei facoltosi, quella dei consumatori e quella degli esclusi. Un circolo vizioso che porta a ciò che il Cardinale Vincenzo Paglia chiama Il crollo del noi con il conseguente paradosso che, nell’odierna società planetaria, in luogo della difesa dei poveri, alberga una preoccupante e pericolosa difesa dai poveri. Siano essi homeless, workless, migranti, carcerati, uomini e donne che nella loro dignità di esseri umani portano con sé tutto il pesante carico di un vissuto fatto di stenti, disagio, degrado, dolore, fragilità, umiliazione.

Ciò che qui emerge in tutta la sua urgenza e improcrastinabilità è il progressivo divenire dimentichi dell’altro senza tener conto del fatto che l’essenza della dignità non può darsi che nella relazione e che un uomo solo non può dirsi davvero degno ovvero che la dignità si esplica come accadimento della correlazione di due incondizionatezze: accolgo l’altro uomo libero e mortale senza condizioni nella sua dignità e accolgo me stesso, altrettanto finito e libero, senza condizioni, ma chiamato alla responsabilità.

In tale accadimento della correlazione si danno tre condizioni fondamentali: il fatto che vi siano almeno due uomini mortali in relazione e che questo rapporto evenga tra due «soggetti di carne di sangue», nel quale si dà il libero accadimento del linguaggio. Non a caso, perché il linguaggio possa accadere, è necessario che vi sia un uomo mortale capace di ascolto e di parola e insieme un altro uomo mortale, separato da questi, ma in relazione con lui «che sia in grado di ascoltare – avverte Bernhard Casper – ma anche di parlare egli stesso». Terzo elemento di grande importanza è costituito dal fatto che l’accadimento del linguaggio sia un evento libero. Il monito rosenzweighiano che si esplica «nel bisogno dell’altro o, che è lo stesso, nel prendere sul serio il tempo» apre la strada all’intendimento della dignità ove il mio libero «iniziare qualcosa con me stesso» in quanto persona che «ha da dire qualcosa» in quanto lei stessa «ossia in quel rapporto a sé che è fondamentalmente sottratto al mio potere che dispone» fonda la mia dignità di uomo che, in ultima analisi, non può che essere pensata in maniera correlativa ovvero nel «rispondere all’altro in quanto lui stesso». In questo evento della responsabilità come cifra dell’etico, il grande filosofo della religione mostra come il concetto di autonomia kantiano sia colto nella sua autenticità soltanto nel momento in cui lo si veda strettamente legato all’obbligazione esplicata nell’imperativo categorico. Di contro l’isolamento di questo concetto dalle sue condizioni fondamentali porterebbe ad un intendimento distorto, atemporale ed egologico dello stesso, all’io sordo di «“ventre affamato che non ha orecchie” – annota il filosofo ebreo lituano Emmanuel Levinas – capace di uccidere per un boccone di pane; per sé come il sazio che non capisce l’affamato. La sufficienza del godere scandisce l’egoismo o l’ipseità dell’Ego e del Medesimo».

Un io bastante a sé che si volge in mera apologia, ove in luogo della felix culpa, ovvero del
«dovere felice» di andare incontro all’altro fino a strapparsi il tozzo di pane dalla propria bocca e togliersi il mantello dalle proprie spalle per offrirlo all’altro, si darebbe la tentazione sempre possibile del male radicale in una smania del «potere di potere» che mira alla prevaricazione dell’altro fino a trattarlo come mezzo. Fino alla sua strumentalizzazione e cosificazione. Fino alla sua eliminazione. Al suo annientamento nella follia e nella perversione di chi vuole divenire come Dio. Si legge, a proposito degli empi, nel libro della Sapienza: «Dicono fra loro sragionando: spadroneggiamo sul povero, non risparmiamo le vedove, nessun riguardo per la canizie ricca d’anni del vecchio. La nostra forza sia regola della giustizia, perché la debolezza resta inutile» (2, 10-11).A queste parole, fa da contraltare il monito di Papa Francesco che, a più riprese, ha denunciato «la deriva (che) si riscontra a livello individuale e sociale» e che ha condotto ad un passaggio pericoloso: quello che porta dalla globalizzazione del mercato alla mercificazione del mondo. Mercificazione ove «l’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare». Non sarà forse proprio per il fatto che «l’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia» che oggi ci si dimentica che non v’è alternativa alla civiltà del condividere? Che l’alterità d’altri mi riguarda e mi chiama in causa incondizionatamente? Che la povertà della vedova, dell’orfano e dello straniero è anche affar mio?

«Essa – ammonisce Francesco nel suo messaggio per la I Giornata mondiale dei poveri –ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal dolore, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra, dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza sanitaria e dalla mancanza del lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro. […] Ai nostri giorni, purtroppo, emerge sempre più la ricchezza sfacciata che si accumula nelle mani di pochi privilegiati, e spesso si accompagna all’illegalità e allo sfruttamento offensivo della dignità umana, fa scandalo l’estendersi della povertà a gradi settori della società in tutto il mondo. […] Tutti questi poveri – come amava dire il Beato Paolo VI – appartengono alla chiesa per “diritto evangelico” (Discorso di apertura della II sessione del Concilio Vaticano II, 29 settembre 1963) e obbligano all’opzione fondamentale per loro».

LE TAPPE DEL FESTIVAL

  • 7 marzo - Milano - 20,45
    Marc Augé - Gratuità
    BASE Milano, Via Bergognone, 34, Milano
    Al termine della lectio magistralis del Prof. Augè, interverrà Don Virginio Colmegna della Fondazione Casa della Carità "Angelo Abriani"
  • 8 marzo - San Donato Milanese - 20,45
    Enzo Bianchi - Farsi prossimo
    Cinema Teatro Troisi Piazza Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, 22, San Donato Milanese
  • 14 marzo - Cesano Boscone
    Fabio Roia e Maria Rita Parsi - Francesca Nodari - Abuso di Genere maschile e violenza contro le donne
    Centro Culturale Villa Marazzi 20,45 Via Dante Alighieri, 47, Cesano Boscone MI
  • 20 marzo - Milano
    Chiara Saraceno - Disuguaglianze tra bambini. Fino a che punto possiamo accettarle?
    Casa dei Diritti 20,45 Via Edmondo de Amicis, 10, Milano MI
  • 23 marzo - Gorgonzola
    Francesco Coccopalmerio - Riflessioni sul diritto. Ontologia delle periferie esistenziali di Papa Francesco
    Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio 20,45 Piazza della Chiesa, 1, Gorgonzola MI

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